Il labirinto spagnolo. Max Aub, Ernest Hemingway, André Malraux e la Guerra Civile Spagnola di Alessio Piras –
Conoscere la Storia anche attraverso la letteratura prodotta da chi quella Storia l’ha vissuta è una fonte primaria di osservazione.
- Titolo: Il labirinto spagnolo. Max Aub, Ernest Hemingway, André Malraux e la Guerra Civile Spagnola
- Autore: Alessio Piras
- Lingua: Italiano
- Formati: kindle, copertina flessibile (315 pagine)
- Editore: Oakmond Publishing (2019)
- Generi: Saggistica
La guerra che ha devastato la penisola iberica tra il 1936 e il 1939 ha rappresentato il primo capitolo di un conflitto più ampio, che ha dissanguato e ferito il continente europeo fino al 1945. La guerra di Spagna è stata una guerra mediatica, in cui centinaia di scrittori e intellettuali provenienti da tutto il mondo si sono impegnati in prima fila, lasciando in eredità un pesante bagaglio di diari, romanzi e poesie che costituiscono uno dei più importanti corpus di memoria storica su un avvenimento del XX secolo, secondo solo, forse, alla letteratura sui lager nazisti. Eppure, lo studio comparato della letteratura sulla guerra civile spagnola è stato solo abbozzato in pochi, sparuti, saggi, la maggior parte dei quali risalenti a qualche decennio fa.
Il labirinto spagnolo. Max Aub, Ernest Hemingway, André Malraux e la Guerra Civile Spagnola, è un lavoro scientifico teso a recuperare quel filone della letteratura comparata per riportarlo ai temi attuali. Si tratta, come è noto, di un conflitto le cui ferite non sono mai state del tutto rimarginate, un conflitto che ha dato origine a una crisi migratoria di quasi mezzo milione di persone e che rimane un monito che la Storia ci obbliga a considerare quando cerchiamo di capire il nostro tempo.
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Il labirinto spagnolo:
Introduzione
1. Parole preliminari
In un interessante studio sulla presenza della guerra civile sulla stampa britannica, David Deacon (2008: 13) afferma che: «The Spanish Civil War was a domestic conflict in name only». Qualche anno fa questa affermazione mi appariva tanto esatta da sceglierla come incipit della mia tesi di dottorato, di cui questo libro intende essere una riduzione fruibile al pubblico lettore. Tuttavia, oggi, qualcosa stride. La Guerra Civile Spagnola è stata senza ombra di dubbio una guerra internazionale, tanto che l’intervento delle forze straniere, Italia e Germania in prima istanza, è stato determinante per l’esito finale del conflitto. In più di un’occasione Francisco Ayala[1], filosofo, giurista e scrittore dell’esilio, scrisse che senza l’intervento delle forze nazi-fasciste la storia sarebbe stata un’altra. Altri, una nutrita maggioranza di studiosi, tendono a imputare le colpe della disfatta repubblicana al non intervento delle democrazie occidentali. Lascio questa querelle polemica ad altre occasioni, anche perché le due ipotesi sono strettamente correlate e, con tutta probabilità, concause della sconfitta del Governo repubblicano e legittimo. Che sia l’una o l’altra cosa, ciò che mi preme evidenziare è che fu un elemento non civile, nel senso di non domestico, a determinare il corso della Guerra Civile Spagnola. Fu internazionale, e lo si vedrà con dovizia di particolari nelle prossime pagine, nella misura in cui oppose, per la prima volta su un campo di battaglia, fascismo e antifascismo, ovvero due visioni del mondo opposte, ma allo stesso tempo confinanti. Come ben argomentato recentemente da Steven Forti (2018), infatti, non furono pochi i comunisti e socialisti che si fecero ammaliare dalla destra sociale rappresentata da Mussolini e Hitler[2]. Infine, la Guerra Civile Spagnola è senza ombra di dubbio il primo vagito della II Guerra Mondiale, definita da alcuni ensayo y prólogo, da altri qualcosa di più, una vera e propria prima fase.
Ma vi era e vi è una sfumatura intrinsecamente spagnola nel conflitto del 1936-1939. Una sfumatura che affonda le sue radici e le sue ragioni nella storia della Penisola Iberica e conduce dritto fino a noi. Già Miguel de Cervantes nella sua celebre tragedia La destrución de Numancia, poi riadattata da Rafael Alberti durante la guerra civile per scopi propagandistici (Piras, 2013), faceva intervenire il personaggio allegorico di Spagna, che dichiarava:
¡Alto, sereno y espacioso cielo
que, con tus influencias, enriqueces
la parte que es mayor de mi suelo
y sobre muchos otros le engrandeces,
muévate a compasión mi amargo duelo
y, pues al afligido favoreces,
favoréceme a mí en ansia tamaña,
que soy la sola y desdichada España!
(…)
¿Será posible que contino sea
esclava de naciones extranjeras
y que un pequeño tiempo yo no vea
de libertad tendidas mis banderas?
(Cervantes, 1994: 72-73)
Il personaggio interviene quando la città celtiberica di Numancia è assediata dall’esercito romano ormai da troppo tempo per continuare a resistere[3]. All’ottavo verso, Spagna si dichiara «sola y desdichada», e il riferimento dell’autore del Don Quijote va alle altre città libere della Penisola che non erano intervenute in soccorso di Numancia. Quella di Cervantes è una delle più celebri invettive contro l’eterna divisione (definita da molti cainismo) in seno agli spagnoli e che ritorna con frequenza nel corso della Storia. Alla fine del XVII secolo, per esempio, alla morte dell’ultimo Re della casa degli Asburgo di Spagna[4], gli spagnoli si divisero in due fazioni ben distinte in quella che fu una lunga guerra di successione che mise al centro dell’Europa il trono di Spagna, ambito dagli Asburgo d’Austria da una parte e dai Borbone di Francia dall’altra. Anche in quell’occasione un affare interno si risolse grazie all’intervento esterno, a favore dei francesi, che sedettero sul trono di Spagna Filippo V di Borbone, avo dell’attuale sovrano Filippo VI. Tuttavia, la lacerazione che produsse quella guerra persistette nella Penisola Iberica e si rifrange ancora oggi, per esempio, nella questione catalana che si fa risalire proprio all’ultimo atto della guerra di successione, ovvero l’assedio di Barcellona da parte dell’esercito borbonico del 1714[5]. Un guerra internazionale, che si risolse e che riportò la pace fra le Nazioni, rimase una questione irrisolta dentro i confini della Spagna. In maniera speculare, la Guerra Civile Spagnola si chiuse nel 1939 con la vittoria di Franco, il nazifascismo perse la II Guerra Mondiale e l’Europa sta vivendo il più lungo periodo di pace della sua storia, se si escludono le guerre nei Balcani. Ciononostante, a quarant’anni dalla morte del dittatore e a più di 300 dall’incoronazione di Filippo V, le ferite interne alla Spagna determinate da questi due eventi storici sono ancora sanguinanti. Solo qualche mese fa, nell’autunno del 2018, il Parlamento spagnolo in seduta plenaria condannò il Franchismo per i crimini perpetrati. La votazione non fu unanime, il Partido Popular e i liberisti di Ciudadanos si astennero. La ragione sarebbe non aprire ferite che si considerano erroneamente rimarginate. Ciò assume un significato che va ben oltre il simbolismo se si pensa che poche settimane dopo quella seduta plenaria delle Cortes, in Andalusia il partito neo-franchista Vox ha ottenuto 12 seggi e non è escluso che faccia parte di una coalizione di governo regionale: sarebbe la prima volta che l’estrema destra entra nelle istituzioni iberiche dalla morte di Franco e lo farebbe attraverso la puerta grande, per dirla alla spagnola.
Ritornando alla frase di David Deacon, quindi, se è pur vero che la Guerra Civile Spagnola non fu un conflitto domestico, bisogna anche osservare che, allargando l’orizzonte e la prospettiva, cause e conseguenze sono tutte interne al Paese iberico e né le prime né le seconde appaiono oggi risolte. Sono due i dibattiti interni alla Spagna che si ricollegano al conflitto del 1936-1939 e che sono anche al centro dell’agenda politica spagnola: la questione catalana e la riforma costituzionale, a partire dalla messa in discussione della legittimità della monarchia[6].
L’esito finale della Guerra Civile Spagnola favorì la creazione delle condizioni di uno stallo che perdurò quarant’anni. E quell’esito si determinò per effetti non dipendenti dalla Spagna. Vi è quindi una tensione tra dentro e fuori, tra civile e internazionale. Da questa tensione nasce l’intuizione del presente lavoro: guardare al conflitto iberico con una prospettiva più ampia e nella quale convergano le ragioni del dentro e quelle del fuori. A questo proposito la letteratura è la lente attraverso la quale si guarderà all’evento storico, nella convinzione che il romanziere colga dettagli e particolari che sfuggono allo storico, ma che sono di fondamentale importanza per la comprensione finale dell’evento in sé, unico punto di partenza dal quale è possibile, e auspicabile, cercare di avvicinare in maniera analitica il presente.
2. Obiettivi e metodo
L’obiettivo del presente lavoro è quello di mettere a confronto El laberinto mágico di Max Aub con For Whom the Bell Tolls di Ernest Hemingway e L’Espoir di André Malraux. Il fil rouge che unisce i testi in esame è la Guerra Civile Spagnola, che è qualcosa di più che un semplice sfondo storico alle vicende individuali narrate[7]. Per questa ragione un obiettivo di più ampio orizzonte è quello di fornire, attraverso il prisma della letteratura, una nuova chiave di lettura del conflitto iberico a ottant’anni dalla sua conclusione, nel tentativo, forse ambizioso, di contribuire a porla di nuovo al centro di un dibattito storico e letterario che oltrepassi le frontiere spagnole. Questa prospettiva in realtà è duale: da una parte è interna alla stessa Spagna, mentre dall’altra è esterna. Riprendendo la metafora del titolo, guarderemo il labirinto da dentro e da fuori cercando di trovare una soluzione a esso, pur sapendo che l’impresa è impossibile. Verrebbe da chiedersi, allora, perché intraprenderla. È molto semplice: i fenomeni storici sono estremamente complessi e quella che noi consideriamo Storia non è altro che una versione dei fatti universalmente accettata, più o meno rispondente al vero, ma mai completamente imparziale. Riprendendo Hayden White (1978), la Storia non è altro che un racconto che articola fatti che si succedono nel tempo secondo uno schema narrativo che l’essere umano è in grado di riconoscere, con cui ha familiarità (la commedia, la tragedia, ecc.). Semplificando al massimo lo storico è un narratore di fatti realmente accaduti nel passato che non usa personaggi fittizi e a cui è vietato espressamente di mentire, ma non di deformare, amplificare, sottolineare, calcare o omettere. Si capisce che la frontiera tra i due mestieri è fumosa, poco chiara e le due figure in taluni casi possono anche coincidere. Detto ciò, non si può mai dire di aver messo la parola fine nella comprensione e nell’interpretazione di un evento storico, a maggior ragione se è sfuggente e complesso come la Guerra Civile Spagnola. Per questo l’impresa, nonostante sia destinata a fallire, deve essere intrapresa: quello che andiamo ad aggiungere qui è un granello di sabbia che contribuisca a dare una sfumatura ulteriore della guerra di Spagna, nel tentativo di unire le tensioni che l’hanno animata: quella civile, tra due visioni del Paese contrapposte (una reazionaria, ancorata a un passato miseramente glorioso e una progressista, proiettata verso l’Europa); e quella internazionale, che altro non è che la lotta tra fascismo e antifascismo[8].
Per ragioni di chiarezza, e perché non è mia intenzione tracciare nuove strade metodologiche, si è utilizzato un metodo comparativo tematico classico. L’oggetto della comparazione letteraria, quindi, è la Guerra Civile Spagnola, alla quale si dedica la prima parte, con lo scopo di fornire al lettore le chiavi di accesso all’evento e di poterlo fotografare dalla mia stessa angolazione. Tuttavia, non sarà una comparazione equa: vi sarà un punto di vista preferenziale, che è quello di Max Aub. È infatti la volontà di mettere El labirinto mágico a confronto con altre opere sullo stesso tema ad aver stimolato la ricerca che sottende questo libro e che mi ha impegnato per diversi anni. Le ragioni di questa preferenza, unitamente a un breve stato dell’arte sullo studio comparato dell’opera di Max Aub, verrà offerto più avanti.
Per dare seguito allo studio comparato, la seconda parte del lavoro verrà divisa a sua volta in tre stanze: una dedicata a El laberinto mágico di Max Aub, una a For Whom the Bell Tolls, e, l’ultima, a L’Espoir di Malraux. I testi sono stati letti e studiati in lingua originale e in tali idiomi verranno citati, in bibliografia verranno forniti i riferimenti adeguati delle corrispondenti edizioni italiane, qualora esistano.
Una volta studiato il corpus si procederà alla comparazione vera e propria nella terza parte e, infine, alle conclusioni con i dovuti e necessari rimandi all’attuale situazione socio-politica spagnola.
Non procederemo alla creazione di nuove categorie critiche e paradigmi, utili a studiare le opere in esame. Tuttavia, procederemo secondo uno schema che privilegia le strategie narrative da una parte e i personaggi dall’altra, elementi delle narrazioni su cui focalizzeremo la nostra attenzione, senza mai dimenticare la contingenza storica che ha dato vita alle opere e che è anche il tema della comparazione.
Da un punto di vista metodologico è bene precisare che, da una parte, L’Espoir e For Whom the Bell Tolls sono due romanzi finiti, mentre dall’altra, El laberinto mágico è un’opera complessa e polifonica composta da sei romanzi e una quarantina di racconti, sostanzialmente inconclusa. Si tratta a tutti gli effetti di un serie in cui personaggi e situazioni ricorrono e in cui è possibile seguire un unico filo narrativo. Per questa ragione lo consideriamo una sola opera nella sua interezza.[9] Tuttavia, la natura de El laberinto mágico ci ha costretto a problematizzare la sua analisi: anche per questa ragione il capitolo ad esso dedicato è più complesso rispetto a quelli che si occupano di André Malraux ed Ernest Hemingway.
Infine, è necessario precisare che il presente
testo ha lo scopo di essere fruibile a un pubblico lettore potenzialmente
vasto. Si eviteranno quindi tecnicismi e si privilegerà la sintesi, badando
alla sostanza, senza dimenticare la forma, ma non cadendo in inutili
barocchismi e orpelli stilistici. Uno dei grandi problemi con cui si scontra il
lavoro accademico, specie quello letterario e umanistico, è quello di rimanere
sconosciuto al grande pubblico perché fondamentalmente incomprensibile e
autoreferenziale. Ma se il nostro lavoro, in modo particolare quando non viene
pubblicato su rivista scientifica, non esce dalle mura universitarie, a poco
vale, poi, lamentarsi del fatto che sia sconosciuto o, ancora peggio, accusare
i lettori di non essere in grado di leggere determinati testi e, quindi,
ripiegare su altre forme di arricchimento culturale. Chi ha l’onore di fare
ricerca umanistica dovrebbe avere anche il dovere di dare a chiunque sappia
leggere e scrivere gli strumenti per affinare la sua conoscenza. Il lavoro
accademico deve essere, quindi, fruibile, che non significa scadente, ma
semplicemente accessibile. Per questa ragione, ho colto con gratitudine l’opportunità
datami da Oakmond Pubblishing di far parte di questa collana, che ha lo scopo
di sdoganare il lavoro accademico dal contesto universitario e farlo circolare
il più possibile. Da ispanista, un progetto editoriale così donquijotesco
non poteva che trovarmi entusiasta.
[1] I testi in cui Ayala fa riferimento alla Guerra Civile, studiando il conflitto dentro un’analisi più ampia sulla Spagna franchista, sono essenzialmente due: «De la preocupación de España», incluso nella seconda edizione di Razón del mundo; e España, a la fecha pubblicato nel 1965. I due testi sono stati recentemente riuniti dal sottoscritto in Ayala (2018).
[2] Forti ha dedicato all’argomento diversi studi, l’ultimo dei quali (2018), a cui facciamo riferimento, è quello relativo alla parabola politica di Oscar Pérez Solís, che da co-fondatore del Partito Comunista Spagnolo (PCE) passò a essere un intellettuale di riferimento della Falange e del primo Franchismo.
[3] I celti occuparono la Penisola Iberica prima dei romani e vengono simbolicamente considerati i primi spagnoli della storia, nel senso di abitanti del territorio occupato oggi dalla Spagna con una coscienza di popolo. Si tratta, com’è evidente di un mito. Tuttavia, nonostante i Romani fossero inizialmente una forza occupante, non è rimasta nell’epos spagnolo la sensazione di essere stati colonia di Roma. Ciò potrebbe essere dettato dal fatto che le provincie spagnole, con centro principale Tarraco (l’attuale Tarragona), erano tra le più ricche dell’Impero. Da non dimenticare che Seneca nacque nella Córdoba romana e, seppur erroneamente, viene incluso spesso nel canone dei filosofi spagnoli.
[4] Carlo II (1661-1700), detto lo Stregato. La dinastia degli Asburgo di Spagna letteralmente si estinse: l’abitudine delle unioni tra parenti di primo grado – comune nell’aristocrazia fino al secolo scorso – pare abbia favorito, oltre alla sterilità, il perpetrarsi di alcune tare genetiche, tra cui il rachitismo e il progenismo mandibolare (o mento asburgico).
[5] Delle questioni che scuotevano la Spagna negli anni ‘30, e in generale dopo la perdita delle ultime colonie nel 1898, quella catalana è l’unica a non essersi risolta. Nel 1921, in España invertebrada, José Ortega y Gasset dedicò ampio spazio ai nazionalismi interni alla regione e il dibattito sullo Statuto d’Autonomia catalano fu uno dei più accessi del Parlamento repubblicano nel 1932. Cfr. José Ortega y Gasset (2006: 54-85), Obras completas + REF per il libro e per i discorsi in parlamento.
[6] Il 22 novembre del 2018, il leader di Podemos, Pablo Iglesias, pubblicava su El País un lungo intervento in cui affermava che, se da una parte la Monarchia nel 1975 si guadagnò legittimità istituzionale traghettando il Paese verso la democrazia e, poi, scongiurando il colpo di stato del 23 febbraio 1981, dall’altra parte, oggi, nel 2018, essa sarebbe obsoleta e dovrebbe lasciare spazio alla Repubblica. Sarebbe questa, secondo Iglesias, una naturale evoluzione della democrazia spagnola, un suo inevitabile affinamento. Inoltre, in occasione delle celebrazioni del quarantesimo anniversario dal referendum costituzionale (6 dicembre 2018) il gruppo parlamentare Unidos Podemos si astenne dall’applaudire l’ingresso della famiglia reale in Parlamento e criticò duramente il discorso che in tale occasione diede il Re Filippo VI.
[7] Hegel nelle sue Lezioni di estetica (2000) distingue il romanzo dall’epica in quanto il primo smette di narrare le vicende degli eroi dal cui destino dipende il destino del mondo, per occuparsi della vita degli individui comuni, che non fanno la Storia, ma la subiscono. In questo senso, quindi, i romanzi di Aub, Hemingway e Malraux sono, come vedremo, esemplari.
[8] Riterrei un errore definire la guerra di Spagna come un conflitto tra dittatura e democrazia. L’antifascismo era, infatti, un movimento plurale nel quale militavano persone che erano mosse dalle ideologie più contrapposte, come possono essere il liberalismo di matrice cattolica e il comunismo ortodosso sovietico.
[9] Questa prassi in riferimento a El laberinto mágico è particolarmente diffusa tra la critica maxaubiana, che la giustifica, e noi ci uniamo a questa spiegazione, con le parole dello stesso Aub del prologo di Campo cerrado, il primo romanzo della serie: Aub, 2017a.
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