Dal diario di Adriana
Giorno 24
Oggi piove e la primavera sembra aver rallentato la sua corsa. Gli ultimi boccioli di rose sono caduti lungo il vialetto del giardino dopo l’acquazzone della notte e nell’aria c’è un odore curioso. Ho fatto una piccola passeggiata, nei limiti consentiti, per andare ad acquistare i quotidiani e ho intravisto per la seconda volta un ragazzo che porta a spasso due bassottini che sembrano usciti da un film. Ci siamo riconosciuti da sopra la mascherina ed ho colto forse un cenno di intesa ma ognuno ha continuato la propria strada.
L’inciviltà non è cambiata
Lungo il tragitto guanti a terra e mascherine usate a dimostrare che l’inciviltà ai tempi del coronavirus non è cambiata. Un autobus con un solo passeggero a bordo, dotato sempre di mascherina, transita lungo la strada e il rumore sembra assordante nel silenzio al quale ci stiamo abituando. Pochi metri più in là su un marciapiede un gruppetto di marziani, con tute da casa e mascherine di varia foggia, sperimenta l’attesa davanti a un supermercato. Faccio ciao con la mano a uno che mi pare di riconoscere ma quello non mi fila e mi accorgo forse di aver sbagliato persona.
La malinconia è una brutta bestia
Ci dicono che il peggio dovrebbe essere passato e attendiamo con fiducia che ci spieghino come transitare verso la fase due, quella della parziale riconciliazione con il mondo ma la malinconia è una brutta bestia. Ti sale dallo stomaco come un succo amaro e allora, per cacciare quel sapore acre, ti sforzi di pensare al fatto che ci sono quelli che hanno sofferto più di te e che non è giusto permettersi di essere triste. Ma siamo esseri umani, fatti di emozioni, sentimenti, e chi non ha mai sperimentato la malinconia forse dovrebbe preoccuparsi.
Da tempo collaboro, nel mio settore di competenza, con alcuni gruppi di psichiatri che fanno riferimento alla teoria della nascita e che studiano come funziona la nostra mente. Ovviamente in questa emergenza non hanno smesso di farlo. Spiegano che la paura e il senso di vuoto fanno parte dell’essere umano e che quando la paura si trasforma in angoscia c’è però qualche vuoto interiore che evidentemente ha già scavato buchi dentro di noi. In quei vuoti si infila l’impossibilità, la scarsa fiducia nel futuro, il gelo che ci trasforma in automi e che quindi dobbiamo fare attenzione a non farci divorare da tutto questo.
Mi viene in mente un film che deve la sua fortuna probabilmente al titolo The day after. Una guerra nucleare distrugge il mondo e i pochi superstiti precipitano in una sorta di medioevo nel quale l’unica parola d’ordine è appunto sopravvivere a ogni costo. Hanno perso ogni cosa e sono costretti a sperimentare ancora morte e orrore. Uno scenario apocalittico che, ovviamente, non ha nulla a che fare con la crisi che stiamo vivendo ora a causa del virus per quanto immane. Il film, aldilà della crudezza delle scene, racconta a dire il vero non solo la stoltezza dei potenti della terra ma le angosce più profonde sul nostro futuro. Nella scena finale due esseri umani però sullo sfondo di una città distrutta si abbracciano. E si ricomincia da lì.