Dal letame nascono i fiori

Dal letame nascono i fiori di Vincenzo Galati

Una commedia poliziesca ironica e leggera, intelligentemente sarcastica.

Olga è vicina agli ottanta ed è appassionata di enigmistica, libri gialli, vecchi film e sigarette. Ha un grande talento per la soluzione dei misteri e una spiccata propensione a cacciarsi nei pasticci, ma ha anche una vocazione per coltivare la terra. In fondo, cosa c’è di più innocuo dell’amore per l’orticoltura e il giardinaggio?

Così Olga comincia a lavorare in un orto comune senza immaginare che fiori, pomodori, insalata, zucchine e cetrioli possano essere il prologo al suo prossimo caso. E quando rinviene il cadavere di un suo amico non si fa trovare impreparata iniziando subito la sua indagine personale che la farà infilare in un ginepraio ancora più folto del solito. Per venirne fuori dovrà ricorrere all’aiuto dei suoi strampalati amici, ignari dei rischi cui si espongono.

I loro metodi, per quanto poco ortodossi, risulteranno molto efficaci per risolvere un caso che rischia di far morire… dalle risate.

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Dal letame nascono i fiori:

1

Stava pensando alla focaccia di Recco che aveva appena mangiato, quando sentì qualcosa al fianco. In un primo momento la prese per la solita fitta provocata dall’acidità di stomaco che gli veniva sempre quando mangiava quella leccornia al formaggio bollente che cola da tutte le parti, divina, ma troppo pesante e troppo grassa per lui. Come sempre, pensò che fosse un vero peccato, dato che si trattava di una delle cose che amava di più. La prossima volta avrebbe preso la farinata e avrebbe lasciato la focaccia al formaggio a quelli che avevano uno stomaco più robusto e il colesterolo più basso… Sollevò la mano libera per massaggiarsi la pancia e alleviare il senso di oppressione, ma rimase impietrito nel riconoscere il metallo della canna. Un brivido lo attraversò, dall’atlante all’osso sacro.

«Fermo dove sei!»

Restò a guardare le porte cromate dell’ascensore del parcheggio di Piccapietra che si stavano aprendo.

Che stupido! Avrebbe dovuto pensare al lavoro e non a quello che aveva mangiato. E dire che era lui a ripetere sempre a suo figlio di non salire mai su un ascensore senza aver prima controllato ben bene in giro. Guardò in su… Specie in uno privo di controllo a circuito chiuso.

Cominciò a sudare ma non sapeva se fosse dovuto alla digestione o alla situazione contingente; fatto sta che il parrucchino gli stava lentamente scivolando sulla fronte, rischiando di mettere in bella mostra tutto il suo svantaggio follicolare, aggiungendo un carico d’ansia al comprensibile bagaglio di preoccupazione. 

Strinse con più forza il manico della valigetta e attese. Avrebbe potuto mettersi a correre ma valutò che alla sua età sarebbe stato inutile. Subito dopo si ricordò di Enrico, l’agente della compagnia assicurativa e alla battaglia che avrebbe dovuto sostenere con lui quando si sarebbero messi a discutere del premio di polizza da pagare per il prossimo anno. Pazienza. Scosse la testa desolato.

Le porte dell’ascensore si spalancarono. Sentì una mano spingerlo fuori: non una spinta vera e propria, quasi solo un gesto per indirizzarlo. La mano lo guidò lungo il corridoio vuoto alla sua destra fino a una nicchia nel muro, fiocamente illuminata. Ebbe l’impressione che ci fosse una sola persona. Lo supponeva dal rumore dei passi, perché fino ad allora non aveva visto assolutamente nulla.

«Ok, paparino. Faccia al muro e mani in alto!»

Fece quanto gli era stato ordinato. Era diventato un vero esperto in quel campo: era ormai la terza volta che veniva rapinato; un record niente male per uno che trattava pietre preziose da trent’anni. Solo che questa volta era diverso; stavolta non si trattava di robetta come quando gli avevano portato via solo una manciata di pietruzze colorate di nessun valore e qualche cartina di brillanti… O come la prima volta, quasi vent’anni fa, quando stava per finire il giro dei clienti della giornata e gli erano rimasti solo pochi carati di pietre alla rinfusa. Oggi no. Oggi era carico, aveva più di duecentocinquantamila euro di pietre tagliate di prima qualità. Ecco cosa accadeva quando eri considerato un venditore esperto: ti affidavano la merce migliore. Per questo doveva fare in modo di vedere qualcosa; fino a quel momento aveva sempre avuto la netta sensazione che si trattasse di una sola persona.

La valigetta era attaccata al polso con una catena e una manetta. Pensò che, quando gli fosse stata chiesta la chiave, avrebbe avuto modo di tentare una sbirciata: invece sentì una lieve pressione contro il polso e la catena spezzarsi con un rumore secco.

«Ok. Adesso mollala.»

Dovevano aver tagliato gli anelli della catena, pensò mentre si accorgeva di aver lasciato andare la presa.

«Fermo così!»

Gli venne in mente che non aveva detto una sola parola durante tutta la rapina: non aveva neppure emesso un gemito di sorpresa. Devo dire qualcosa, pensò agitato. Non posso lasciar fare così, come se fossi sordomuto e, prima ancora di rendersene conto, stava voltandosi aprendo la bocca.

La settimana seguente, quando lo dimisero dall’ospedale, raccontò a Enrico della luce che all’improvviso s’era messa a oscillare, del pavimento che aveva preso a ruotare e ad avvicinarsi a lui e delle minuscole stelle che gli erano esplose attorno, come fuochi d’artificio. Quello di cui però non parlò, fu la strana impressione che provò nell’attimo in cui stava per perdere conoscenza.

Lo avevano trovato sul pavimento nella nicchia che si apriva nel muro con ancora quindici centimetri di catena al polso. Il parrucchino era scivolato via, lasciando il posto a un bozzo delle dimensioni di un ovetto Kinder. L’uomo si chiamava Rebora e la rapina sarebbe diventata una delle più importanti in Italia, ai danni di un rappresentante di diamanti.

2

Olga Massone calzò bene in testa il cappello blu con applicazioni floreali tono su tono e bottoncini giallo oro, in modo che non le andasse fuori posto sotto il venticello primaverile. Uscì di casa congratulandosi con se stessa per lo scialle di lana grigia: faceva ancora piuttosto fresco. Si voltò, rivolse un sorriso all’uomo dai capelli bianchi che aspettava l’ascensore e si diede una rapida occhiata nello specchio dell’androne. Lo scialle sembrava persino bello e la nuova borsetta… Ruotò un po’ di fianco: forse era un po’ troppo grande per lei… Non avrebbe dovuto fidarsi tanto della commessa… Beh, ormai era fatta e comunque era in tinta con il cappello. Si passò una mano sui capelli grigi per assicurarsi che la crocchia fosse a posto, uscì dal portone e diresse i suoi passi verso il centro.

Quando arrivò all’angolo dov’era il negozio di frutta e verdura, affrettò l’incedere. Era un vero peccato non potersi perdere in quel tripudio cromatico, fatto di sedani, di peperoni gialli e rossi, e di cassette di mele e fragole, ma era martedì e lei non acquistava mai frutta e verdura il martedì. Se una logica c’era stata per quella sua abitudine, si era persa col passare degli anni, insieme alle ragioni che la inducevano a comprare sempre latte parzialmente scremato, pane di segale e tè sfuso, non in bustine. Non aveva mai rinunciato a nessuna di queste consuetudini, così come non aveva mai rinunciato a preparare la colazione per Oscar in tutti quei quarantacinque anni in cui erano stati sposati. E ora che la colazione era solo per una persona, i suoi piccoli rituali e le sue piccole abitudini erano diventati ancora più importanti: la facevano sentire coerente con se stessa, quasi non fosse cambiato nulla in tutti quegli anni.

Questa è la fine dell’anteprima gratuita. 

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