Acqua sporca

Acqua sporca di Marina Robino

Omicidi molto attuali ma che hanno a che fare con qualcosa di terribile accaduto in un passato lontano e che affondano le proprie radici nel perbenismo di una città di provincia.

È arrivato il momento dei bilanci per il Commissario di Polizia Emma Orlandi.

Dopo essere stata trasferita da Milano, sua città natale, alla squadra omicidi di Ancona, tutto quello che aveva dato un significato alla sua vita fino ad allora sembra franare lentamente.

Prima la separazione dal marito, poi la morte della madre e infine gli attacchi di panico, costringono Emma a fare i conti con la solitudine e con il suo passato di figlia ignorata e di donna amata malamente.

Sentirsi straniera in una città dove tutto accade più lentamente, estranea anche a se stessa: questi sono i sentimenti dominanti del Commissario Orlandi mentre indaga su una serie di delitti, i cui moventi sono da cercare in fondo al pozzo della memoria, negli anni Sessanta, nelle vicende famigliari di un’Ancona che non esiste più.

Quali sono le vere vittime all’interno della storia?

Mentre per Emma non c’è un’unica risposta, per il commissario Orlandi la ricerca della verità è il solo modo per placare l’angoscia, per riprendere il controllo.

E se l’esilio fosse, in realtà, la sua più grande occasione?

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Acqua Sporca:

1

Altrove

Giovanni Grassi camminava con passo stanco e incerto verso il portone della sua casa, in una palazzina arroccata a metà di via Cialdini.

Faceva fatica a percorrere l’ultimo tratto in salita, con la borsa del supermercato. Respirava con la bocca aperta, avido d’ossigeno, passando la mano sopra la fronte per asciugare il sudore che gli bruciava gli occhi. Da una settimana, per la spesa doveva arrangiarsi perché la sua badante era in ferie. Da contratto le spettava un mese e lei aveva deciso di prenderselo tutto. Era tornata a Wroclav, il suo paese.

Se non fosse che ogni tanto cedeva alle sue insistenze e gli concedeva qualche toccatina, l’avrebbe già cacciata via quella stupida polacca, rimuginava l’uomo, maledicendo il momento in cui le aveva permesso di partire.

Ancona non è una città per i vecchi, con tutte le salite e i sanpietrini sconnessi delle stradine del centro, che fanno passare la voglia di uscire.

L’uomo appoggiò a terra la borsa della spesa e frugò nelle tasche per cercare le chiavi del portone.

«Serve aiuto?» Una voce alle sue spalle lo fece sussultare. La voce aveva un volto sorridente e familiare. «Ah, è lei!» ansimò. «Grazie, alla mia età si fa fatica anche a fare qualche gradino.»

Salirono lentamente le scale ed entrarono nell’appartamento spoglio, che raccontava di un uomo rimasto vedovo troppo presto. Niente tende, niente soprammobili, niente cuscini sul divano di velluto e un forte odore di muffa.

«Se vuole, posso prepararle una tazza di tè

 mentre lei mette a posto la spesa.»

«Lei è proprio una persona gentile, sa? È una fortuna averla incontrata oggi. Abita al numero trentaquattro, vero?»

«Sì, proprio due portoni dopo il suo», disse prendendo due tazze e un pentolino da una credenza sopra il lavandino. E aggiunse, sorridendo «È curioso come tutti tengano le tazze sopra il lavandino.»

Il vecchio fece una smorfia e si sedette a tavola per riprendere fiato.

«L’altro giorno sono venuti in due, per il gas, dicevano. Ma io non li ho mica fatti entrare! Volevano fregarmi di sicuro. E comunque non avrebbero fatto un buon colpo. Io non ho un bel niente. Solo quella cornice d’argento» disse indicando l’oggetto sulla mensola che conteneva una foto in bianco e nero di un uomo sulla trentina e di una bella ragazza dai capelli rossi, che sorridevano all’obiettivo.

«L’ho persa troppo presto» sospirò e cominciò a sorseggiare il tè. «Mi fa piacere poter fare quattro chiacchiere con qualcuno, di questi tempi è così difficile. Sto sempre solo, a parte la badante. Ma è così stupida quella polacca! Vorrei avere il coraggio di cacciarla, ma poi come farei? Sa quanto è difficile trovarne una brava, che non ti freghi i soldi? E poi magari, se ce l’ha con te, può pure succedere che ti soffochi con un cuscino, di notte…»

L’uomo smise di colpo di parlare. Un colpo di tosse lo fece trasalire.

«Può aprire la finestra, per favore? Fa tanto caldo qui dentro. Sarà un’estate torrida, dicono.»

Un alito d’aria entrò nella cucina. L’odore salmastro del mare, che s’intravedeva dietro l’angolo della palazzina, s’insinuò nella stanza, spazzando per un secondo quello pungente della muffa.

«Questa città è morta, ormai» disse il vecchio, scuotendo tristemente la testa. «I negozi chiudono, perfino le bancarelle vendono solo cineserie. La gente non vuole più uscire. Per fare cosa? Una volta ci si vestiva bene, la domenica, si andava a messa e poi a fare un giro in piazza Cavour, o al Teatro…» Giovanni Grassi riprese a tossire, la mano premuta sul petto a contenere lo sforzo eccessivo.

La tazza del tè si rovesciò sul tavolo, spandendo il liquido ancora caldo sui pantaloni dell’uomo, che urlò per il bruciore. «Dio, cosa faccio! Mi gira la testa, credo che sia meglio che mi sdrai un attimo, fa troppo caldo, il tè non è stata una buona idea, io…»

Il vecchio si accartocciò, in attesa di un aiuto dalla mano caritatevole che l’aveva portato a casa e che ora sembrava essere un’altra persona.

«Lei non ha paura?»

«Cosa? Di cosa dovrei avere paura?» disse il vecchio, sempre più affaticato.

«Di morire.»

Grassi alzò lo sguardo ormai perso a cercare un punto di riferimento nella stanza che girava e incrociò gli occhi della persona davanti a sé. Non erano più sorridenti.

Un brivido gli percorse la schiena, fece per alzarsi dalla sedia ma inciampò e cadde, la faccia schiacciata sulla graniglia del pavimento. Immobile, seguì con la coda dell’occhio la persona che lo aveva accompagnato mentre lavava e rimetteva a posto la tazza con cura.

Rivide mentalmente l’immagine della moglie con i capelli rossi che le scendevano morbidamente sulle spalle e cercò, con un ultimo sforzo, di allungare la mano per toccarli, ma non riuscì a muoversi. Poi tutto diventò buio. 

«Ci vorranno solo pochi secondi» disse pietosamente la persona gentile.

«Pochi secondi…» furono le ultime parole che Giovanni Grassi udì.

2

L’avevano svegliata nel cuore della notte, la matita nera sbavata sotto gli occhi perché non aveva il tempo di struccarsi la sera e ora si trovava nel salotto di una casa sconosciuta: tappeti persiani, quadri alle pareti, un pianoforte a coda, ingombranti vasi in stile orientale disseminati sul tavolo e in una vetrina d’antiquariato.

Una casa dove non avrebbe mai voluto abitare. Soffocante. Tutte le volte che si trovava in una scena del crimine non riusciva a fare a meno di pensare: Questo lo sposterei, quelle tende le toglierei. «Un’attitudine femminile», avrebbe detto sua madre.

La casa dove era stato rinvenuto il corpo si trovava in una palazzina in stile liberty, nascosta in una viuzza che collegava Viale della Vittoria e Corso Amendola, in pieno Riò de la Fettina, come gli anconetani chiamavano il Rione Adriatico.

Il Commissario Emma Orlandi aveva sorriso al racconto che il suo amico Oscar Marinelli le aveva fatto tempo prima sul motivo di quel soprannome, perché lì ci abitava solo chi si poteva permettere di mangiare carne tutti i giorni.

Nel salotto rigurgitante di oggetti, l’attenzione del Commissario fu attratta da un testo incorniciato e appeso alla parete, una lirica composta e firmata in calce dalla vittima.

Com’è difficile dire mai più. Ha il sapore del ferro in bocca, il dolore di un pugno nello stomaco, l’asprezza del sale nelle lacrime, la sofferenza del vento sulla pelle. Eppure, sgorga all’improvviso, in un sussulto di orgoglio e porta con sé il fardello di tutte le donne del mondo, maltrattate, usate, plagiate, lasciate, prese e gettate, trasparenti, inascoltate. E in questo scatto la schiena si drizza, lo sguardo si solleva, il dolore si placa, la voce si fa ferma. Mai più.

La donna, almeno apparentemente, si era suicidata. Chissà perché una donna che scrive queste parole decide di togliersi la vita, rifletteva Emma, mentre nella casa regnava un caos controllato.

«Commissario, le ho portato una tazza di caffè, lungo, tre cucchiaini di zucchero.» La voce di Anna la riportò nella stanza.

Questa è la fine dell’anteprima gratuita. 

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