Chi ha paura di H.P Lovecraft? di Rosario De Sio –
Che cos’è la paura? Quante declinazioni ha? La letteratura è in grado di far paura?
- Titolo: Chi ha paura di H.P Lovecraft?
- Autore: Rosario De Sio
- Lingua: Italiano
- Formati: kindle, copertina flessibile
- Editore: Oakmond Publishing (2020)
- Generi: Saggistica
Questo saggio è un viaggio nella narrativa terrificante di Howard Philips Lovecraft, il bardo di Providence, per cercare di comprendere come egli sia riuscito a rinnovare un genere che pareva avere un canone più che consolidato: il racconto horror.
Non c’è autore moderno che non sia stato influenzato dalla sua scrittura e bastano i nomi di Clark Ashton Smith, Steven King, Fritz Leiber e Alan Moore a dimostrarlo. Tramite questo viaggio proveremo dunque a comprendere il modus operandi del maestro, cercando non solo di tracciare le tecniche narrative ma di capire cosa davvero intendesse per orrore.
Nei suoi scritti Lovecraft tratteggia la crisi dell’uomo moderno e il suo declino spirituale e valoriale destinato a crescere con l’avvento della modernità trionfante palesandolo come un parassita sempre più in balia di una natura ostile e per questo destinato a soccombere.
Autore introverso e taciturno Howard Philips Lovecraft, che in vita non ebbe né fama ne gloria e fu ignorato dalla critica del tempo finendo i suoi ultimi giorni in un lazzaretto d’ospedale, è oggi tornato a far parlare di sé.
Le sue divinità blasfeme, i suoi incubi sempre in agguato agli angoli delle strade, lo sconfinato universo onirico e le sue entità aliene sono diventati oggetti di culto da parte di milioni di fan in tutto il mondo continuando a turbarne l’immaginario collettivo.
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Chi ha paura di Lovecraft?:
Prefazione
Ricordo che quand’ero piccolo tra i primi libri che mi sono capitati tra le mani, c’erano Il Signore degli anelli di Tolkien e Alle montagne della follia di H.P. Lovecraft. Di Tolkien ricordo che mi colpì l’epicità delle battaglie, l’avventura dei piccoli mezz’uomini che, affrontando mille insidie, portarono a compimento un’impresa più grande di loro.
Celate in quelle pagine si avvertiva la nostalgia dell’autore per un eroismo ormai lontano, di un ritorno a gesta piene di coraggio, in esse mi sembrava di rivedere tutta la storia mitologica dell’occidente, dal mito greco all’epica norrena sino ai miti arturiani. Mentre però di Tolkien riuscivo a farmi un’opinione, lo stesso non potevo dire di Lovecraft. Il solitario di Providence rimase per me uno scrittore sfuggente, dallo sguardo vacuo ed enigmatico, proprio come lo era per me la sua prosa.
L’ingenuità accompagna spesso l’adolescenza ma allo stesso tempo a questa segue la curiosità di scoprire. Nel caso di Lovecraft essa non m’impedì di continuare a leggerlo, a oggi, infatti, posso affermare che lo considero uno degli scrittori che più mi sono cari.
Il saggio che segue, nato da una mia personale esigenza, è un modesto tentativo di provare ad antologizzare e schematizzare il pensiero narrativo e filosofico lovecraftiano.
Le coordinate seguite sono due ovvero, da un lato, cercare di capire in cosa consiste l’orrore lovecraftiano per poi metterlo in relazione alla vecchia tradizione gotica e in tal modo comprendere le innovazioni apportate al genere. Lovecraft, infatti, deve confrontarsi con la vecchia generazione di scrittori e romanzieri; da Lewis a Mary Shelley, da Stoker a Edgar Allan Poe.
Il secondo punto è stato l’analisi di uno dei topos più ricorrenti nella sua narrativa, la ricerca. Tuttavia, però, prima di tentare di rintracciare l’origine dell’orrore nelle opere del bardo di Providence e dunque tentare di comprenderne la scrittura, è opportuno fare un passo indietro e decifrarne il pensiero che costituisce l’impalcatura sopra la quale si fonda la sua narrativa.
Capitolo I
Piccola premessa e primi cenni storici
Nel 1919 Freud pubblicò un interessante saggio dal titolo Il perturbante (Das Unheimiche) indicando con tal nome e in maniera alquanto generica, il sentimento della paura.
Scrive lo psicanalista austriaco: «il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare.»[1]
La paura dunque sembra essere qualcosa di profondo, indissolubilmente legata all’essenza umana. Provare paura, essere pervasi da un brivido di terrore è una cosa che indissolubilmente appartiene all’uomo. Si pensi per un attimo alla comune paura della morte; ora chi più chi meno quando si trova innanzi a questo grande e immenso mistero, è pervaso, suo malgrado, da un fremito di paura, scaturito dal profondo enigma, dall’ignoto che la morte cela dentro di sé.
Da tempi immemori la storia ci insegna che l’uomo ha sempre cercato di esorcizzare questa paura; l’ha fatto con la religione, con l’arte, con la filosofia insomma in ogni modo e maniera ha cercato di scacciare questo spettro tremendo. Sarebbe fuorviante in questa sede cercare di comprendere le mille sfaccettature della paura e tentare di farne un’analisi in chiave psicanalitica. Quello che interessa è vedere come questo sentimento, questo perturbante è ripreso, sfruttato, piegato ai fini estetici dall’arte, in particolare nella letteratura gotica, e soprattutto concentrarci sulla figura di Howard Philips Lovecraft, autore di numerosi romanzi e racconti brevi di genere horror.
La paura è entità essenziale della narrativa gotica, senza la paura non esisterebbe nemmeno il romanzo gotico. È quell’elemento che sta alla base della fabula, muove l’azione, la potremmo definire come l’impalcatura invisibile che regge l’intera struttura narrativa. Da un lato si rivela essere l’espediente stilistico con il quale il romanziere mantiene viva l’attenzione del lettore costringendolo a proseguire. Crea un’innaturale tensione, quella che in inglese è definita suspense cioè quel sentimento d’incertezza e ansia che lo porta a proseguire la lettura e tiene costante la sua partecipazione alla vicenda. Questa tecnica è perfezionata proprio con il gotico che ha bisogno di mantenere viva l’attenzione del lettore e creare quel sentimento di tensione, di attesa e di ansia per tutto il corso della storia. D’altro canto, nel senso ideologico la paura costituisce una sorta di risposta speculare al rapido processo di trasformazione del secolo e all’inquietudine che avrebbe cartterizzato successivamente il passaggio al 900. Il mondo sta cambiando rapidamente e alla realtà modernizzatrice delle macchine industriali si cerca di opporre la forza primitiva e selvaggia della natura. Interessa quindi comprendere come si evolve il concetto di paura, in cosa consiste la paura e com’è rappresentata dai primi grandi autori gotici fino a giungere a Lovecraft per capire le innovazioni che apporta e il suo modo, estremamente raffinato, molto sottile di interpretare il concetto di paura. Definire i racconti di Lovecraft come semplici storie dell’orrore è alquanto riduttivo e semplicistico perché vi è una pluralità di elementi che affiorano nei testi che concorrono a far sì che il Solitario di Providence sia un vero e proprio innovatore del genere e questo lo vediamo soprattutto dal percorso artistico che Lovecraft compie, un percorso che affonda le radici nella narrativa gotica ma che poi si evolve sempre di più raggiungendo uno stile di scrittura particolare e inconfondibile, affrontando tematiche del tutto rivoluzionarie rispetto alla tradizione precedente; in tal modo Lovecraft si pone come un rinnovatore del genere stesso, svecchiandolo e incanalandolo in una nuova direzione. Getta in tal modo le basi per la nascita di un nuovo filone narrativo che lui stesso denominò orrore soprannaturale. Come giustamente intuisce Giuseppe Lippi la scrittura del solitario di Providence riesce sempre a cambiare prospettiva. È un flusso in perenne mutamento, si adegua, cambia, si trasforma sino al momento in cui trova la sua strada e può esprimersi in piena autonomia.
Scrive Lippi: «Possiamo immaginare la carriera di Lovecraft come una curva che inizia all’insegna del gotico e del soprannaturale (The Tomb, The Statement of Randolph Carter), prosegue con i racconti alla Poe (The Outsider, The Unnamable) e con le fantasie dunsoniane (The White Ship, Celephais, The Dream-Quest of Unknown Kadath) per giungere al culmine con un gruppo di storie mature in cui il tradizionale racconto del terrore si mescola a qualcosa di diverso, di profondamente originale. Questa vetta è rappresentata da testi come The Call of Cthulhu, The Dunwich Horror, The Case of Charles Dexter Ward, The Colour Out of Space e più tardi The Shadow over Innsmouth.»[2]
Una cosa è certa: tutta la narrativa dell’orrore del XX secolo affonda le radici nella narrativa gotica di metà700 e 800. «Molti dei più noti maestri della più recente narrativa del soprannaturale – Algernon Blackwood, M.R. Jamea, H. P. Lovecraft – derivano le loro tecniche di suspense e il loro senso dell’arcaico direttamente dalla narrativa gotica originale e parecchi dei loro simboli cruciali del soprannaturale erano un tempo appannaggio di quegli scrittori più anziani.»[3] Solo alla luce dell’esperienza letteraria del 1700-1800 è possibile comprendere Lovecraft giacché egli è figlio di quella tradizione, di quella scuola.
Il romanzo gotico è il frutto di un lungo processo evolutivo e su di esso influiscono tutta una serie di fattori di ordine sociale, economico nonché il mutamento del gusto estetico del pubblico. Possiamo paragonarlo alla coltre di fumo che si protrae su dal camino; il fumo esce lentamente nella fase iniziale perché il fuoco ancora non ha preso possesso dei tizzoni, è ancora giovane potremmo dire. Di conseguenza va su timidamente in fili sottili che a malapena si distinguono nell’atmosfera circostante. Mano mano che il fuoco avanza sul tizzone ecco che il fumo esce in maniera più forte e intensa. La coltre di fumo diventa nera, calda, veloce e sale potente nell’atmosfera ora ben visibile a occhio nudo. Quanto detto si presta bene a comprendere metaforicamente il lungo processo che vede l’evolversi del romanzo gotico, il suo trasformarsi e consolidarsi nel tempo come un vero e proprio genere letterario. Nella letteratura inglese tra la seconda metà del 700 e i primi anni dell’Ottocento si manifestò un fenomeno che coinvolse tutti gli ambiti della letteratura tanto è vero che sarebbe impossibile circoscrivere questo fenomeno a un solo genera letterario. È comunemente indicato con il termine gotico, ma se considerato oltre la sua accezione letteraria, è un termine tutt’altro che semplice e univoco ma racchiude in sé mille sfumature e sfaccettature diverse. Gotico è «una parola che ha tuttora un’ampia varietà di significati e che, in passato, ne ha avuto anche di più. È usata in un certo numero di campi diversi; come termine letterario, come termine storico, come termine artistico, come termine architettonico. E come termine letterario nell’uso contemporaneo ha tutta una gamma di applicazioni diverse.»[4]
Nel rinascimento il vocabolo gotico indicava, nella sua accezione storica, tutto ciò che avesse a che fare con i goti. Il termine si caricava di una connotazione altamente negativa; designava un’era storica pregna di decadenza, un secolo barbarico e oscuro, simboleggiando quindi tutto ciò che era barbarico, contrapposto, al mondo raffinato della Roma classica. Quest’idea trovò terreno fertile nell’arte architettonica. Esiste un rapporto molto forte, diretto, tra romanzo gotico e architettura, questo perché nella fase embrionale il vocabolo gotico identificava l’architettura[5] e l’arte dell’età medioevale. Gotiche erano le cattedrali dalle arcate a punta e sovrastate da golem e gargoyle. Gotici erano i castelli, le torri lugubri immerse nel verde delle lande inglesi. Del termine ne fece uso per la prima volta il Vasari, il quale, però utilizzò il come sinonimo di barbarico. Tutto ciò che è barbaro, è visto con disprezzo perché altro non è se non il degrado di quella che era l’antica e rigogliosa arte romanica. Come si vede in questa prima fase il termine ha funzione denigratoria, di disprezzo verso ciò che non è elegante e affine alla tradizione. A ogni modo il termine, col passare degli anni, passò dunque a identificare le cose medioevali. Eppure, il gotico, con tutte le sue accezioni e connotazioni negative, fu riscoperto e rivalutato con l’incedere del tempo.
[1] Freud Sigmund, Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Torino, Bollati Boringhieri, 1969, p. 270.
[2] Lovecraft. Howard Philips, Tutti i racconti, 1927-1930, Tomo III, Milano, Club Degli Editori, 1994, p. 243.
[3] Punter David, Storia della letteratura del terrore. Il «gotico» dal settecento a oggi, Roma, Editori Riuniti, 2006, p. 7.
[4] Ivi, p.5.
[5] Nelle cattedrali gotiche il peso non grava più sulle pareti portanti della struttura ma è distribuito sui pilastri con l’ausilio di volte e archi; un esempio è la cattedrale di Notre-Dame a Parigi.
Questa è la fine dell’anteprima gratuita.
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