Incisione imperfetta di Andrea Bagnasacco –
E se il nuovo organo di un trapiantato potesse avere influenza anche sulla sua anima?
- Titolo: Incisione imperfetta
- Autore: Andrea Bagnasacco
- Lingua: Italiano
- Formati: kindle, copertina flessibile
- Editore: Oakmond Publishing (2020)
- Generi: Romanzo, Thriller, Giallo, Noir, Narrativa
Esiste qualcosa di noi che sopravvive alla morte? Un organo donato può influire sulla vita di chi lo riceve fino a stravolgerla completamente al punto di annullare l’identità stessa del ricevente?
Sono queste le domande che dovrà porsi l’ispettore Gabriele Cavalieri, chiamato a indagare su tre misteriosi decessi, tutti avvenuti sotto le mani dello stesso chirurgo.
Il chirurgo in questione è il professor Vittorio Defranchi, clinico tanto capace quanto detestabile, che si ritrova suo malgrado coinvolto in una terribile spirale che lo obbliga a fare i conti con il suo passato e a confrontarsi con la sua paura più profonda. Il medico sarà costretto a passare da salvatore a carnefice, da aguzzino a vittima in un romanzo giallo che non fa sconti a nessuno e in cui, non è detto che la sua magistrale abilità operatoria, basterà a salvarlo dalla sconfitta più dura.
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Incisione imperfetta:
PROLOGO
Lʼuomo riprese i sensi al suono del suo battito cardiaco.
Sulle prime, però, non gli riuscì di distinguere la pulsazione che gli rimbombava forte dentro la testa, dal sincrono, metallico e insistente bip che gli arrivava alle orecchie.
Aprì gli occhi, ma la luce accecante che gli stava davanti l’obbligò a richiuderli.
Percepì altri rumori, più ovattati, forse delle voci, una maschile e una femminile che tuttavia non riconobbe.
Provò inutilmente a portare una mano alla faccia e realizzò in quel momento di essere sdraiato, legato mani e piedi.
Si sforzò allora di guardare la luce: era una lampada da sala operatoria senza alcun dubbio.
Fece correre da entrambi i lati uno sguardo frastornato. Aveva le braccia spalancate e in ognuna di esse, allʼaltezza dellʼincavo dei gomiti, erano infilati aghi a cui si collegavano dei flaconi di medicinali che dondolavano leggermente, appesi ad aste dʼacciaio.
Alla sinistra, un monitor riproduceva il battito del suo cuore e da lì proveniva quel suono metallico. Lo ascoltò giusto il tempo necessario ad accorgersi che aveva accelerato la frequenza.
Sollevò un poco la testa. Era una stanza quadrata, senza finestre, rivestita da piastrelle lucide e troppo bianche per i suoi occhi ancora confusi. In piedi, in un angolo, intravide una persona girata di spalle, vestita di un camice verde, intenta a sistemare su un tavolino mobile una serie di strumenti chirurgici.
Ebbe un attacco di dolore alla nuca che gli fece ricadere il capo e fu di nuovo obbligato a serrare le palpebre.
Comʼera finito lì?
Non lo ricordava; una spessa coltre di nebbia si era alzata nella sua memoria. Stava per parlare e chiedere spiegazioni quando una maschera di gomma gli venne appoggiata sul viso. Spalancò gli occhi. La sua profonda paura di non risvegliarsi da unʼanestesia si era materializzata dʼimprovviso e con violenza.
Vide un volto sconosciuto, seminascosto da una mascherina azzurrognola che copriva naso e bocca. Uno sguardo gentile lo fissò e una voce profonda, calma e rassicurante gli giunse alle orecchie:
«Ora rilassati. Stai tranquillo. Siamo qui per rimettere tutte le cose a posto, non devi aver paura. Fai dei bei respiri profondi e conta fino a 10.»
1…
Il battito si fece più forte.
2…
Ma cosa stava succedendo? Doveva pur esserci un motivo valido per tutto quello.
3…
Un incidente? Un trauma? Un malore? Niente, non riusciva a ricordare niente.
4…
Avrebbe voluto delle spiegazioni. Chiedere di fermarsi, solo per un momento, solo per capire.
Sentì le braccia intorpidirsi e iniziò a mancargli il respiro.
5…
La paura divenne terrore. Fece per urlare ma dalla bocca non uscì alcun suono. Sentiva solo un gran bruciore alla gola.
La voce proseguì: «Non agitarti. Tra poco non sentirai più nulla e dormirai…»
6…
La lampada iniziò a perdere di nitidezza e la luce ad affievolirsi. Il suono del monitor tornò a confondersi con il battito che gli rimbombava in testa.
7…
«Adesso devi concentrarti su qualcosa di bello, unʼimmagine piacevole. Vedrai che al tuo risveglio la ricorderai…»
8…
«…Se mai ti risveglierai.»
9…
Buio.
I
Delitto e Castigo
Lunedì 17 marzo 2014, ore 6.40
Paola Lorenzi aveva paura.
Sʼera sempre vantata di essere una persona forte, che non scendeva a compromessi, soprattutto quando si trattava di difendere i propri diritti e la propria autodeterminazione. Lʼinfanzia triste e lʼadolescenza difficile lʼavevano temprata al punto da poter fronteggiare qualunque problema.
Ma adesso aveva davvero paura.
Cominciava a dubitare della decisione presa, qualche mese prima, di denunciare apertamente chi aveva abusato di lei. Tante altre ragazze erano state vittime dello stesso individuo, ma nessuna di loro aveva avuto il suo medesimo coraggio.
Ora, però, faceva i conti con la propria determinazione. Le minacce, sempre meno velate, si erano fatte più frequenti negli ultimi giorni. Questo lʼaveva spinta a confidarsi con un suo superiore, un medico del reparto in cui lavorava come aspirante infermiera. Non avrebbe voluto parlare con lui, anche perché aveva scelto di lavorare proprio in quel reparto per risolvere questioni personali che non prevedevano amicizie. Ma il medico, invaghitosi di lei, si era dimostrato sinceramente preoccupato per la sua sicurezza e, in fondo, lei non aveva nessuno su cui contare. Così aveva deciso di accettare la sua offerta e di trasferirsi a casa sua per qualche giorno; il tempo necessario a deporre in tribunale e chiudere definitivamente lʼennesima brutta pagina della sua vita.
Aveva finito il turno di notte. La stanchezza, mischiata allʼansia che cresceva di ora in ora, le avevano riproposto alla memoria quegli istanti terrificanti in cui era stata violentata. Lʼosceno piacere di quel mostro che si sfogava dentro di lei, continuava a rimbombarle nel corpo, oltre che nella mente.
Cercò di scacciare quei ricordi orrendi allo stesso modo in cui richiuse la porta dellʼarmadietto che utilizzava per cambiarsi dʼabito e si diresse con passo spedito verso lʼuscita dellʼospedale.
La giornata non poteva essere peggiore: fredda e cupa. Un violento temporale flagellava la città da qualche ora e non pareva intenzionato a placarsi. Il bagliore dei fulmini e il fragore dei tuoni erano una pessima compagnia alla spossatezza fisica e mentale che lʼattanagliavano. Giunse allʼingresso quando realizzò di non avere con sé lʼombrello. Si guardò intorno ma non vide neppure uno dei venditori ambulanti che stazionavano regolarmente fuori dal nosocomio.
«Quando si ha bisogno, non ci sono mai» pensò Paola. Rimase qualche minuto ad aspettare, nella vana speranza che la pioggia riducesse il suo scrosciare; poi decise che era troppo stanca e si buttò sotto lʼacqua.
Tenendo la borsetta sulla testa, attraversò il cortile ospedaliero. Non aveva fatto un centinaio di metri in tutto che era già completamente fradicia. Arrivò alla porta carraia. Doveva attraversare la strada e raggiungere la pensilina degli autobus proprio di fonte a lei. Almeno da lì in avanti il percorso verso casa sarebbe stato allʼasciutto. Attese che il semaforo le desse il via libera, preoccupata del fatto che già scorgeva il bus avvicinarsi velocemente. Temendo di perderlo, si lanciò sulle strisce pedonali nel preciso momento in cui il segnale diventò verde, ma finì con il primo passo su una pozzanghera profonda che le inzuppò le scarpe fino alle caviglie.
«La prima cosa che farò a casa sarà infilarmi sotto la doccia calda» pensò rassegnata.
Il miraggio del piacevole massaggio dellʼacqua sulle spalle fu lʼultimo pensiero cosciente che ebbe. Il rumore del tuono non riuscì a coprire il macabro suono del suo corpo contro il cofano della macchina che la travolse.
Giovedì 6 giugno 2014, ore 9.10
«Non devi preoccuparti; è una cosa assolutamente normale.»
Le parole distolsero la ragazza, distesa sul lettino, dalla contemplazione dello spicchio di panorama che le giungeva, filtrato dalle lunghe tende di lino, dalla finestra aperta dello studio della dottoressa Colli. Lʼufficio della famosa psichiatra era situato al terzo piano di un palazzo molto elegante in pieno centro città. Era una giornata limpida e, anche se erano da poco passate le nove, i primi caldi di unʼestate umida già si facevano sentire.
La giovane spostò lo sguardo verso la donna in camice bianco seduta dietro una scrivania dal design pulito e minimale, che troneggiava nel mezzo di una stanza grande e spoglia. Gli unici mobili presenti erano le mensole di legno chiaro che, fissate alle pareti, sopportavano pazientemente il peso di grandi volumi rilegati. Il parquet, chiaro anchʼesso, era formato da listelli disposti a lisca di pesce, mentre le pareti bianche ampliavano a dismisura lo spazio, contrastando con il nero intenso del divanetto in pelle sul quale era distesa la ragazza.
La dottoressa Silvia Colli si alzò dalla sedia e fece un giro attorno alla scrivania.
«È una cosa normale, devi credermi. Dopotutto sei un medico anche tu e sai bene che questa condizione colpisce quasi il cinquanta percento dei pazienti trapiantati.»
Istintivamente la giovane si portò una mano al petto. Dallʼestremità superiore della camicetta, sʼintravedeva una parte della sottile cicatrice che le attraversava il torace esattamente a metà. La ferita era guarita benissimo e, a distanza di qualche mese dal momento in cui un bisturi lʼaveva prodotta, restava solo una piccola linea rilevata e leggermente arrossata; poco più di un graffio che le solcava la pelle candida.
Questa è la fine dell’anteprima gratuita.
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