Mister Noir di Sergio Rilletti –
L’investigatore più ironico e meno politically correct d’Italia.
- Titolo: Mister Noir
- Autore: Sergio Rilletti
- Lingua: Italiano
- Formati: kindle, copertina flessibile
- Editore: Oakmond Publishing (2020)
- Generi: Spionaggio, Thriller, Giallo, Noir, Narrativa, Ironico, Racconti
In una Milano misteriosa e a tratti surreale, Mister Noir, eccentrico e infallibile detective privato, affetto da tetraparesi spastica, e la sua bella e combattiva assistente Elena Fox accettano i casi che nessun poliziotto o investigatore convenzionale sarebbe in grado di risolvere: un uomo che si crede colpevole di un omicidio non ancora commesso, un guerriero in armatura in cerca di vendetta, una killer professionista che ama giocare con le sue vittime, un tesoro letale nelle acque di Porto Azzurro, un veleno inesorabile che induce al riso prima di uccidere… Nel creare il primo eroe disabile seriale del giallo italiano, Sergio Rilletti si diverte a rimescolare generi e sottogeneri, unendo Ellery Queen e Jackie Chan, Rex Stout e Bud Spencer, Ironside e Agente speciale. Una miscela unica e frizzante di suspense, mistero, humour e fantastico. Una raccolta di romanzi brevi e racconti contenente anche storie del tutto inedite.
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Mister Noir:
I
Tre primi incontri
Una domenica sera di metà novembre, ore 21.00
La giovane donna dai capelli lunghi lisci e castani, come il colore degli occhi, entrò nell’ampio cortile ghiaioso di Villa Radice Fossati, quella sera gremita di gente. La ragazza indossava una camicia grigia, leggermente sbottonata in modo da formare una tipica scollatura a V che prometteva molto ma non mostrava niente, e un paio di jeans attillati, infilati in un paio di stivaletti. Di solito, quando andava a una festa, si vestiva in modo molto più elegante. Ma, a quella festa, c’era andata per motivi di lavoro, quindi aveva preferito indossare la sua consueta divisa da combattimento.
Infatti, doveva incontrare qualcuno.
Girò la testa da una parte all’altra, fino a individuare il suo obiettivo.
Era proprio davanti a lei, a circa una cinquantina di metri di distanza.
Né alto né basso, ma semplicemente seduto.
Proprio come le aveva scritto nell’e-mail quando lei gli aveva chiesto un tratto distintivo per riconoscerlo.
Ed era stata proprio quella risposta a farla decidere di incontrarlo.
Lei lo guardò, inclinando la testa di lato, incuriosita. Dallo sguardo sornione, non ebbe alcun dubbio che fosse proprio lui.
Si avvicinò a passi lesti.
L’uomo aveva un elegante abito nero con cravatta nera su una camicia bianca, i capelli folti e neri e le sopracciglia inarcate all’insù in un’espressone di bonaria ironia; era seduto su una possente carrozzina elettrica nera, di proporzioni abbastanza ragguardevoli, con la cloche e i comandi sulla destra, dotata di fari e lampeggianti.
La ragazza gli si parò davanti.
«Salve, io sono Elena Fox. Tu sei Mister Noir, vero?»
Lui assentì, allargando le braccia e chiudendo un momento gli occhi, in segno di autoironica immodestia.
«Perché hai voluto vedermi?»
Mister Noir, approfittando della propria tetraparesi spastica che gli impediva anche di articolare bene le parole, finse di pronunciare una risposta emettendo in realtà solo dei versi a caso, per vedere come si comportava lei.
«Che?» esclamò Elena, sporgendosi leggermente in avanti.
Okay, la ragazza non aveva finto di capirlo… Quel primo test l’aveva superato!
«Per assumerti» rispose poi lui, scandendo bene le parole.
«E perché vorresti assumermi?»
Perfetto! La ragazza l’aveva capito subito, senza alcun problema!
«Perché sei una tipa in gamba.»
Lei inarcò un sopracciglio.
«L’hai dedotto dai miei jeans, forse?»
«Anche. E non nel senso delle ànche.»
Elena Fox aggrottò le sopracciglia.
Mister Noir continuò. «Per esempio, i tuoi jeans fasciano un paio di belle gambe, probabilmente atletiche, di cui sei fiera ma che non vuoi mostrare. Il tuo incedere marziale denota sicurezza, così come il fatto che tu mi abbia dato subito del Tu. Sei chiara e diretta, e probabilmente non sopporti le ingiustizie e i mentecatti.»
«Ci mancherebbe altro!» esclamò lei.
Lui sorrise. «Tutto questo ti rende sicura di te e la donna giusta per me. Professionalmente parlando, s’intende!»
«E noi due dovremmo… indagare, insieme?»
«Esatto. Andando in giro per la città.»
Elena scrutò la possente carrozzina elettrica, a destra e a sinistra, con aria dubbiosa.
«Credo che avrei qualche difficoltà a caricarla in macchina.»
«Io sono venuto qui col mio furgone, che guido io. Comunque, ho anche una carrozzina manuale che si può piegare facilmente.»
«E mi pagheresti bene?»
«Abbastanza» le sorrise lui. «Ma i dettagli li definiremo in seguito.»
«Quando esattamente?» chiese lei, con un tono di voce simpaticamente beffardo, per nulla intimorita né dalla condizione fisica del suo interlocutore né dal fatto che questi avrebbe potuto essere il suo futuro capo. Sempre ammesso che lui la assumesse.
«Domani mattina. Alle dieci in punto» rispose l’uomo in carrozzina.
E, detto ciò, le rifilò un proprio biglietto da visita che, per comodità, si era messo tra le gambe; lei prese mentalmente nota dell’indirizzo, e se lo infilò nella tasca posteriore destra dei jeans.
Si stava per congedare da lui, quando arrivarono quattro ragazzi schiamazzanti. Due si piazzarono ai lati di Elena, uno dietro, e uno davanti a lei dando le spalle a Mister Noir.
Quello di fronte a lei parlò.
«Ehi, bella, sei con qualcuno?»
«Sì, con lui!» rispose Elena, indicando Mister Noir.
Il ragazzo si voltò, e l’investigatore privato gli elargì il classico sorrisone a labbra serrate che riservava ai dementi.
Il ragazzo si rigirò verso Elena, e si produsse in una gutturale, fessa risata; poi, saltellando e pensando di fare una battuta particolarmente felice, cominciò a declamare: «Handicap match! Handicap match! Handicap match!»
Mister Noir sbuffò. Quello che aveva appena usato il ragazzo era il termine con cui, nel wrestling, si indicava un incontro dove uno o più contendenti combattevano contro una squadra più numerosa. Il fatto che lui appartenesse di fatto alla categoria delle persone con handicap, aveva suscitato la provocazione e l’ilarità del mentecatto.
Smesso di saltare, il ragazzo si rivolse di nuovo a Elena.
«Ehi, bella, quanto tempo occorre a te e al tuo ganzo», altra risata gutturale, sgangherata, «per prepararvi a combattere?»
Mister Noir rispose, sinteticamente, con un’unica parola.
Il giovane mentecatto si voltò e gli si avvicinò, mettendosi alla sua sinistra.
«No?» ribatté, ripetendo, in tono cantilenante, la parola che secondo lui aveva pronunciato.
«Guarda che ha detto Gong!» lo corresse Elena.
Il mentecatto ebbe appena il tempo di stupirsi, che Mister Noir lo abbrancò con la sinistra, lo trasse a sé, e gli rifilò un gran ceffone, che risuonò proprio come un gong, spedendolo a terra stordito.
Elena Fox, muovendo il busto leggermente in avanti, sferrò col piede destro un calcio all’indietro, colpendo all’inguine il tipo alle sue spalle; poi, mantenendo il peso sulla gamba sinistra, si raddrizzò e sferrò un calcio laterale in faccia a quello di destra; tornata in posizione eretta, parò col braccio sinistro un destro dell’aggressore alla sua sinistra, gli sferrò un calcio laterale allo stomaco piegandolo in due, e, prendendolo per il polso della mano che gli aveva bloccato, lo scaraventò verso Mister Noir. E, mentre lei, ruotando su se stessa in senso antiorario, mandava al tappeto quello alle sue spalle, mulinandogli un calcio rovesciato in piena faccia, Mister Noir fece altrettanto calciando di piatto il naso del malcapitato che Elena Fox gli aveva fatto capitare a tiro.
Lei, soddisfatta, si rigirò verso il suo probabile futuro capo, infilandosi le mani nelle tasche anteriori dei jeans.
Mister Noir si riassestò le falde della giacca; poi, notando l’imbarazzo della giovane, esclamò: «Complimenti, te la sei cavata proprio benissimo! Non è da tutti affrontare due primi incontri, uno di lavoro e l’altro di lotta, la stessa sera! E questo vale anche per me, s’intende!»
Elena rimase interdetta: le battute e il modo di pensare del detective la spiazzavano un po’; ma quel tipo non era affatto male. E in ogni caso, se voleva quel posto doveva abituarsi!
«Allora: ci vediamo domani mattina alle dieci?» le chiese l’investigatore, guardandola di sottecchi.
Lei annuì, prima un po’ dubbiosa, poi in modo più convinto.
Fece per andarsene, ma si bloccò. «Senti… Ma perché hai voluto vedermi qui, anziché nel tuo studio?»
«Perché, giacché il mio abbigliamento era formale, volevo che almeno il luogo non lo fosse!»
«Già, ovvio», disse Elena, inarcando le sopracciglia. E se ne andò.
Mister Noir la osservò allontanarsi: non molto alta, aspetto grazioso, ma pura tempra d’acciaio sotto un corpo morbido e flessuoso.
E poi era sveglia, perspicace: aveva capito tutto quel che le aveva detto, anche le battute più astruse, senza alcuna difficoltà, rispondendogli pure a tono; e quindi, quando lui avrebbe parlato con gli aspiranti clienti o con gli interlocutori di turno, si sarebbe rivelata un’ottima traduttrice simultanea. Ne era sicuro.
Eh, sì. Essersi diplomata al Liceo Classico e laureata in Lingue Moderne, come aveva scoperto – insieme ad altre nozioni interessanti – quando si era informato su di lei, aveva dato i suoi frutti.
E infine, quando era entrata in azione contro i quattro teppistelli, si era dimostrata piacevolmente letale.
Escludendo a priori assistenti maschi, che comunque non sarebbero stati dotati della giusta empatia, tra tutte le possibili candidate che aveva contattato – tutte rigorosamente giovani, atletiche, perspicaci, e di bell’aspetto – era l’unica che l’aveva proprio convinto.
Sì, avrebbero fatto grandi cose insieme. Anche perché lui, ricco com’era, non aveva certo bisogno di lavorare per sbarcare il lunario, quindi avrebbe potuto accettare solo i casi che più gli aggradavano.
Girò lo sguardo all’intorno, pensando che ora poteva tornare a casa, dove Consuelo Gomez, la domestica filippina che abitava con lui, lo stava aspettando.
Guardò alla sua sinistra, e incappò in una scena analoga a quella che aveva appena vissuto. Una bella ragazza, anzi un autentico fiorellino, non molto alta ma snella e ben proporzionata, con i capelli lunghi lisci e scuri che le ammantavano tutta la schiena, gli occhi castani, i jeans, e un maglione nero con scollatura a V, si era profilata davanti a un giovane dal vestito sportivo, seduto su una carrozzina manuale.
«Ciao, sono Simona, tu sei Sergio Rilletti?»
Il ragazzo si affrettò ad assentire.
«Ho letto il tuo racconto: è bellissimo!» concluse lei, con un sorriso che illuminò tutta la zona circostante.
Anche il cuore del giovane si illuminò, e non ci pensò minimamente a frenare un grande moto di gratitudine e di esultanza.
Un altro primo incontro! pensò Mister Noir. E memorizzò subito il nome di quel suo omologo scrittore. Di solito non era molto interessato a ricordare i nomi maschili, ma se quel giovane, con la sua prosa, era riuscito a suscitare un vivo interesse in quella bella fanciulla, allora forse poteva essere abbastanza bravo da poter diventare il suo biografo ufficiale, raccontando ai lettori le sue vicissitudini e le sue avventure.
II
La vendetta dell’uomo mai nato
Prologo
Il buio fagocitava il grassottello don Gianni mentre, ansimante, correva guardandosi alle spalle. Lui non vedeva e non udiva niente, ma qualcuno lo stava inseguendo: lo sentiva!
Correva, correva, correva; poi, si bloccò. Ora percepiva la presenza di fronte a sé.
Una voce roboante cominciò a farsi sentire, penetrandogli fin dentro il cuore. Il prete si voltò, ma la voce sembrava riverberare da ogni parte, sempre più forte.
«Ego sum qui numquam naquit et numquam moruit! Haec vindicta est hominis qui numquam decessit!»
Don Gianni ruotò su se stesso più volte, nel vano tentativo di localizzare la voce; poi, si fermò, con la testa rivolta all’insù e la bocca spalancata in un urlo muto: la lama di uno spadone con la punta rivolta all’ingiù gli stava piombando addosso.
Si svegliò di soprassalto, e, col fiato corto, ruotò gli occhi da una parte all’altra.
1. Il caso Boncompagni
Ore 10.00
Consuelo Gomez, una robusta donna filippina sui sessant’anni, girava per tutta la casa, trafelata.
«Non mi chieda niente, señor. Tra poco avremo un ospite importante, lo sa?»
Mister Noir, nel suo studio, aggrottò le sopracciglia. «Ma è proprio sicura di aver capito bene?»
«Certo, señor! Quando mai capisco male io?»
Mister Noir chiuse gli occhi, trattenendosi dal rispondere.
Il campanello suonò. Consuelo andò ad aprire. Una ragazza castana, capelli lunghi fino alle spalle, e dotata di un radioso sorriso, la salutò. «Buong…»
«Buongiorno, señorita Elena. Mi scusi, ma ogi niente capè. Abiamo ospiti importanti, e devo pinire di metere tuto a posto!»
«Ah! Va bene!» esclamò lei, scuotendo la testa un po’ sconcertata, e proseguì, a passo spedito fino allo studio del suo capo. «Che succede?» chiese al detective.
«Hmm! Secondo Consuelo stiamo aspettando Gianni Boncompagni, nostro prossimo cliente.»
«E tu non ci credi?»
Lui la guardò torvo. «No!»
Elena si umettò le labbra per non ridere: le diatribe tra Mister Noir e Consuelo erano sempre qualcosa di spassoso.
Il campanello suonò di nuovo. Elena si piazzò alla destra del detective.
Consuelo corse ad aprire la porta, ritrovandosi davanti a un prete cicciottello dal tono pacato. «Buongiorno, sono don Gianni Boncompagni. Ho chiamato stamattina per prendere un appuntamento con Mister Noir.»
«Ah, sì, sì, certo! È di là, l’accompagno.»
Mister Noir l’accolse con un’aria spazientita che lei finse di non cogliere.
«Señor, c’è…»
«Sì, ho sentito: Don Gianni Boncompagni! Don, Consuelo, Don!»
«E alora?» fece lei. «Con o senza Don, sempre Giani Boncompagni è!»
E, detto ciò, girò sui tacchi e se ne andò, accompagnata dallo sguardo, tra l’allibito e l’infuriato, del suo capo.
L’investigatore sospirò e si concentrò sul suo ospite. «Prego, si accomodi… Lei è la mia assistente, Elena Fox. Cosa possiamo fare per lei?»
Il prete grassottello si avvicinò alla scrivania, e si sedette. «Ho ricevuto una minaccia di morte.» Si fermò un momento, incerto se continuare. «In sogno.»
«Lei lo sa che io sono un investigatore privato, e non uno psicanalista, vero?»
Il tono pacato divenne più accorato. «Mi ascolti, la prego! Sono tre settimane che questo incubo mi ossessiona, e non so cosa fare!»
Mister Noir lo osservò con aria indulgente, Elena era accigliata.
«C’è una frase ricorrente, che mi ossessiona durante l’incubo» disse, porgendogli un foglietto.
Lui lo lesse,
«Ego sum qui numquam naquit et numquam moruit! Haec vindicta est hominis qui numquam decessit!» e lo passò a Elena.
Elena si schiarì la voce, e, traducendo la frase, declamò: «Io sono colui che mai nacque e mai morì! Questa è la vendetta dell’uomo che mai perì!… È curioso, però» commentò. «Nel latino dell’epoca classica, nascere e morire sono verbi deponenti, e la forma corretta sarebbe numquam natus et numquam mortuus est. Quindi, dev’essere latino tardo: del XV o XVI secolo.»
Ecco il vantaggio di lavorare con un’investigatrice che ha fatto il liceo classico, pensò Mister Noir; poi, tornò a rivolgersi al visitatore. «Ricordando che si tratta solo di un sogno, non ha la più pallida idea di chi potrebbe avercela con lei, vero?»
«No. Sono un prete tranquillo, io!»
«E ne ha parlato con qualcuno?»
«Sì, con don Fausto Giglio, un mio amico; un grande sacerdote, anche se ha la passione per l’esoterismo. Ma lui non si è sbottonato.»
«Eh, ci credo: è un prete!»
«Come?»
Elena intervenne subito, per salvare don Gianni dall’implacabile umorismo di Mister Noir. «Non ci ha ancora raccontato il suo sogno.» La sua voce era carezzevole.
«Un incubo, signorina. Un vero incubo.» E si mise a raccontare.
Mentre ascoltavano, i due investigatori continuavano a scambiarsi delle occhiate; poi, dopo un attimo di meditazione, Mister Noir disse: «Bene, don Gianni, faremo così: ovviamente, non ci sono gli elementi per considerarla minacciato, ma se vuole possiamo andare a parlare con don Fausto». E si fece dare il recapito suo e dell’amico.
«Oh, grazie, grazie!» esclamò, stringendo la mano a entrambi.
Se ne andò.
«Cos’hai in mente?» chiese Elena.
«Se questo don Fausto è un esperto in esoterismo…» cominciò lui.
«…potrebbe entrarci qualcosa!» concluse lei. «Auto o furgone? Con questa sedia o con l’altra?»
«Con l’altra, quella manuale. Mi dispiace, cara Elena, ma penso che dovrai faticare un po’: dove c’è una chiesa, di solito ci sono anche un sacco di barriere!» rispose lui, girando la sua carrozzina elettrica di novanta gradi.
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