Dal diario di Adriana
Giorno 2
Questa mattina sono tornata al lavoro. Faccio parte della cosiddetta squadra A, ovvero una delle due squadre che si alternano al telegiornale per ridurre la possibilità di contrarre il virus. Mascherine e guanti, contatti più ridotti possibile, qualche battuta a distanza nei corridoi, in attesa che questo accidenti di covid19 smetta di farci paura.
All’alba mi ero posizionata davanti allo specchio del mio bagno, quello che ingrandisce tutti i dettagli. E le ho viste. Nette e sfacciate, senza possibilità di equivoco. Ho provato a cambiare l’angolazione dello specchio perché la luce arrivasse in modo diverso ma loro erano lì. Le rughe sopra le labbra. La mia bocca corrucciata, preoccupata, tirata dai sogni della notte. Ero su un viale vicino casa – così mi pare di ricordare – e con me c’erano tante persone. Non capivo il perché e d’un tratto sbottavo: «insomma allontanatevi, non lo sapete che dobbiamo stare lontani?»
I sogni al tempo del coronavirus sono espliciti, per certi versi buffi. Comunque eccole lì le rughe sulle labbra. Un velo di cipria, un tocco sapiente di fondo tinta ma niente da fare. E poi c’è quella ciocca di capelli che se ne va per conto proprio e non la riesco a domare.
Giovanni, anche io non vado dal barbiere.
Mi viene in mente il fuori onda che da qualche giorno impazza sul web. Il Presidente della Repubblica Mattarella si prepara a registrare un messaggio alla nazione. Il tono è grave ma calmo. Inizia a scandire il testo: «care italiane e cari italiani… viviamo un momento particolarmente difficile.» Un suo collaboratore interrompe la registrazione facendogli notare che ha i capelli fuori posto. Lui umanissimo risponde: «Giovanni, anche io non vado dal barbiere.» E va avanti. Le piccole cose dovrebbero perdere di significato in questi giorni bui, eppure le piccole cose ci avvicinano. Poi ci sono quelle grandi. I numeri dei contagi, le persone che se ne vanno, la solitudine di chi lotta in trincea. L’imbarazzo di dire a chi ti sta guardando: «Buongiorno, benvenuti al tg1», sapendo che con quel buongiorno stai spalancando la porta su immagini che non potremo mai cancellare dalla nostra memoria. Le bare portate via nella notte da Bergamo sui mezzi militari, gli infermieri svenuti per la stanchezza nelle corsie degli ospedali, un ospedale da campo montato a Central Park, gli sgabelli sui quali in Cina i parenti attendono la consegna dell’urna con le ceneri dei loro cari. E oggi persino i malati nelle zone rurali di quell’immenso paese scacciati dai loro villaggi. Appollaiati sugli alberi senza cure e senza cibo. Come animali.
Mi ha sorriso. Gli ho sorriso.
Al ritorno, sulla curva di uscita dal raccordo anulare, mi si è affiancata una macchina. Sebbene il luogo fosse strano e pericoloso ho pensato che chi la guidava volesse chiedere un’informazione. Mi sono girata abbassando sotto la bocca la mascherina che avevo indossato anche durante il tragitto. Anche lui ha abbassato la mascherina svelando il volto di un signore attempato con una coltre di baffi impazziti. Mi ha sorriso. Gli ho sorriso. Non era una provocazione o un approccio fuori luogo. Mi sono sentita bene. Chissenefrega delle rughe sulla bocca.