La voce di Anna di Fernando Muraca –
Questo romanzo vi coinvolgerà con picchi di lirismo inaspettati e commoventi raccontandovi una storia d’amore in cui le traiettorie sono tutte ribaltate, una storia in cui i protagonisti si conoscono da lontano, senza vedersi, senza toccarsi e pur riusciranno ad assaporare quanto di più prezioso e vero possa esserci fra due persone che s’innamorano: il gusto dell’anima.
- Titolo: La voce di Anna
- Autore: Fernando Muraca
- Lingua: Italiano
- Formati: kindle, copertina flessibile (193 pagine)
- Editore: Oakmond Publishing (2018)
- Generi: Romanzo, Narrativa
Roma, 2017. Una storia d’amore.
Anna, una pittrice di successo che si nasconde da sempre dietro lo pseudonimo A.A., trova nel libro dei commenti di una sua mostra il messaggio di Carlo, un architetto che è rimasto colpito da un suo quadro. Carlo ha capito così in profondità l’opera che lei è costretta a rispettare un giuramento fatto a se stessa all’epoca dell’Accademia di Belle Arti: se qualcuno capisce fino in fondo un mio quadro io glielo regalo. Le è capitato solo altre due volte nella sua carriera, ha sempre mantenuto quella promessa e lo farà anche adesso che i suoi dipinti sono molto quotati. Così contatta Carlo via e-mail e gli fa recapitare il quadro.
Inaspettatamente fra i due inizia una fitta corrispondenza che li porterà a svelarsi pian piano, a scoprire le proprie anime, a vivere il sogno di una storia d’amore sconsiderata, audace e a distanza.
L’attrazione cresce, viene alimentata dalle parole, dai pensieri più intimi e i due s’innamorano perdutamente pur non essendosi mai incontrati.
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La voce di Anna:
Prologo
I poeti dicono che conoscendo qualcuno si può cadere in un equivoco della ragione, nella follia, in una sorta di stordimento. Bisogna fidarsi di loro, delle cose che ci insegnano perché essi vedono quando guardano e hanno il dono della profezia. Sanno che si può fare qualsiasi cosa per rimuovere ciò che frena un desiderio autentico. I poeti hanno ragione quando ci istruiscono su queste cose perché i desideri ci spingono fuori dai recinti che ci infliggono le regole, aiutandoci a vincere le paure, il senso d’inutilità. Ci dicono la verità su noi stessi mettendoci di fronte a ciò che sentiamo e che siamo veramente. I desideri rivelano i bisogni più profondi, le angosce che cerchiamo di contenere, le menzogne cui siamo disposti per non affrontarli a viso aperto. Io amo i poeti e ho imparato a scrutare nei loro deliri e qualche volta vi ho trovato la luce di cui avevo bisogno, il coraggio necessario alle imprese più grandi che la vita mi ha messo davanti. Per questo mi sono decisa a dirti quello che sto vivendo, anche se non ci siamo mai incontrati di persona. Ti voglio accordare la mia fiducia senza che tu abbia potuto meritarla e farti conoscere, senza veli, la mia anima. Sento che devo farlo, che posso rivelarti i miei segreti perché nelle poche cose che mi hai scritto, ho riconosciuto uno sguardo che assomiglia al mio, un modo di guardare il mondo che suscita in me curiosità e desiderio di relazione. Non sono mai stata avventata nelle amicizie e nei rapporti, mai così tanto almeno, ma prima non sapevo ascoltare i poeti.
I
Il viaggio
Una mano tiene davanti a sé un piccolo registratore vocale. Dita affusolate premono il tasto di registrazione. Sulle labbra morbide scivolano le parole raccolte con gli occhi su un piccolo diario dalla copertina rigida ricoperta di stoffa rossa.
Inizio a raccontare il mio ultimo viaggio attraverso il filo che ho lasciato dietro di me. I miei passi, rivisti camminandoci sopra all’indietro, sembrano irriconoscibili. Mi appaiono familiari e stranieri allo stesso tempo. Non mi sorprendo e non mi spavento. Sono una viaggiatrice di professione e sono consapevole che i misteri non si svelano al primo sguardo.
Anna sta registrando quello che ha scritto nel pomeriggio e legge con intenzione, come se avesse di fronte a sé qualcuno.
Finché avrò un soffio di vento nei polmoni da poter respirare, viaggerò. Il mio sogno nel cassetto è di morire alla fine di un viaggio, alla meta. Cammino, come so, come posso, più di questo non riesco a fare. Per questo mi sento prudentemente felice. Dico prudentemente per non offendere nessuno magari meno fortunato di me. Ci sono tanti che non riescono neanche a partire. Ci sono altri che non sanno neanche cos’è un viaggio. Ma non voglio abbandonare il mio cuore nella tristezza per questo.
Si ferma un istante.
Lo fa per assicurarsi di non essere sdolcinata, pedante.
Quanta bella gente ho incontrato viaggiando. Se chiudo gli occhi li vedo. Su di essi si ferma il mio cuore. Con un profondo abbraccio. Un senso di gratitudine che mi accompagna sulla strada quando sono sola. E capita di essere soli. Di sentirsi soli, capita.
La pagina è finita. Sola, seduta alla sua scrivania, con le dita affusolate, con le unghie dipinte tenuamente, la donna chiude il quaderno e preme il tasto di pausa sul registratore. Mentre spinge il tasto lo guarda e fa un pensiero stupido. Pensa al perché abbiano deciso di rappresentare la pausa con quel simbolo: II.
Spinta dalla curiosità prova a cercare
su internet. Digita qualche stringa nel motore di ricerca ma non trova niente.
Di solito sulla rete trova tutte le risposte che le servono per queste cose. Fa
diversi tentativi cambiando le parole della ricerca. Niente. Si arrende. Allora
prende in mano la penna, gira la pagina e sul foglio bianco che ha davanti
scrive un titolo: Il mio nome. Lo scrive in alto, al centro del quaderno.
II
Il mio nome
Le anime diventano leggere a causa di voli sconsiderati, per la solitudine e difendendosi dalla paura. Quello che basta per una vita. Continuando sempre a credere e sperare oltre il muro della vergogna, della derisione, dell’ingratitudine. Così un’anima si fa leggera; nel pianto, nel vento, sognando.
Una mattina camminando lungo il fiume una madre vide passare il suo bambino e lo guardò crescere, camminare e allontanarsi verso gli oceani. Così l’anima che vuole volare tratta le idee, i bisogni, le estasi, gli altri da sé.
Quando tutti i fiumi avranno raggiunto il mare l’acqua si fermerà. Un silenzio diverso da quello che sperimentiamo adesso attraverserà la terra fino ad appoggiarsi sopra ogni uomo che ha passato i suoi giorni. Chi non avrà pesi volerà. Per questo l’anima si deve preparare e farsi trovare così, leggera, libera: per volare.
Anna si alza lasciando il suo diario sulla scrivania. Ha scritto quasi come fosse sotto dettatura. Sta parlando di sé, della sua anima. Conosce bene gli spazi interiori, sono il suo terreno di gioco preferito. Apre la finestra ed esce sul balcone. Guarda la natura davanti a sé. Gli occhi si posano su una pianta. Vede una foglia ingiallita e la stacca. Più in là, accanto al muro del balcone, c’è un annaffiatoio. Lo riempie usando un piccolo rubinetto di servizio e annaffia tutti i vasi. Poi, risolutamente, rientra come se un pensiero la spingesse di nuovo a scrivere.
Oggi, un giorno come tanti, la casa del sole apre le finestre e la musica esce dalle arcate della vita, si fa strada dentro la città, fra gli uomini e sussurra le sue canzoni. A volte si ferma in un rivoletto di sconforto e dice una nota. Poi riparte verso altri paesaggi.
Le nostre vite sono costellate da una ripetizione delle stagioni, un ciclo vitale che serve a rassicurare. Abbiamo bisogno di ritrovarci nelle stesse cose dopo che le abbiamo conosciute in modo da gustarle meglio, con più libertà e spregiudicatezza.
Questo vale per l’amore fisico e ancora di più per quello spirituale. La confidenza è l’arma più potente per creare la comunione. Essa genera la prima ancella dell’unità: l’intimità. Ho conosciuto la confidenza per la via del perdono dopo averla cercata caparbiamente per le strade delle parole. Pare uno scioglilingua ma io penso così, in fretta. È un modo che ho escogitato per non farmi prendere dalla paura ed evitare per questo di andare in fondo alle cose.
È necessario che il tempo trascorra senza essere assalito dalla nostra premura. È un atteggiamento interiore che si capisce lentamente e ha un nome. Si chiama pazienza. Non è un caso che sia scritto: «Con la pazienza possederete la vostra anima.»
Quando essa si sarà fatta leggera.
Così ho scoperto il mio nome.
Il mio nome è Fantasia, me l’ha dato il vento in una notte di tempesta. Ecco, ognuno ha il suo nome che è parte del mondo. Un asse infuocato fra la terra e il cielo. Fantasia è il nome della mia anima.
Al secolo mi chiamo in un altro modo. Sono alta un metro e settanta. Ho un corpo discreto e gli occhi che possono scrutarti dentro. Ma solitamente passo inosservata.
Sono una come tante.
Anna è davanti allo specchio col suo registratore all’altezza della bocca, nell’altra mano il quaderno rosso. Fissa la sua immagine riflessa. Lo fa per controllare la descrizione che ha fatto di sé. Guarda nel dettaglio le sue curve. Ha spento il registratore e lo mette, insieme al quaderno, nella borsa che ha sulla poltrona vicino alla cabina armadio. È nella sua stanza da letto adesso. Ci sono poche cose oltre alla poltrona bianca e al letto basso, quasi attaccato al pavimento. Una piccola pila di libri vicino alla lampada del capezzale, un grande quadro su una delle pareti dipinte di un delicato azzurro, una scultura che poggia su un piedistallo. Raffigura due mani che si cercano prima che si stringa la presa. È fatta di pietra di alabastro e le dita sembrano in movimento, un’opera di valore. Un’opera che sta nel suo precario equilibrio in una casa certamente non frequentata da bambini.
Anna si spoglia per cambiarsi d’abito
mentre la luce del mattino entra dalle serrande leggermente socchiuse. Il suo
corpo rosa è bellissimo e non corrisponde all’avara descrizione che ne ha
appena fatto. Un tempo avrebbe saputo e potuto essere molto più generosa con se
stessa. Ha vissuto giorni di spavalderia che oggi vorrebbe dimenticare completamente.
III
Chi sono io
Il piccolo trenino che costeggia il lago di Albano parte dalla stazione con fatica e inizia a cadenzare il viaggio attraverso il rumore che i binari rilasciano al suo movimento. Su questa linea fuori città i treni non possono incrociarsi marciando in direzioni opposte perché il binario per il transito è uno soltanto. I treni si aspettano nelle stazioni dove i binari raddoppiano. Ognuno dei convogli lascia la strada all’altro dopo averlo affiancato per qualche minuto. Gli uomini invece s’incontrano sugli scalini, uno sfiorarsi veloce che non lascia tempo né a saluti né a sguardi attenti. Anna è entrata nel vagone di destra e ha trovato posto vicino al finestrino. Guarda per un po’ verso il basso e contempla la nebbia che ricopre il lago.
È salita alla stazione di Castel Gandolfo, la terza dal capolinea. Va a prendere il treno lì per lo spettacolo che si può osservare dalla banchina mentre si rimane in attesa ad aspettarlo. Da casa sua, in macchina, ci vuole poco a raggiungere la stazione. Una delle tante spettrali fermate delle province italiane dove non c’è più biglietteria e personale. Era stata una stazione disegnata da ordinate aiuole un tempo quando qualcuno l’aveva considerata la sua stazione e vi abitava con la famiglia per controllare il vicino passaggio a livello. Adesso è in stato di abbandono. Eppure molti salgono lì. Anna è vestita con una certa eleganza e inizia a scrivere sul suo quaderno rosso.
Questa è la fine dell’anteprima gratuita.
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