Mister Noir: Hate & Love

Mister Noir: Hate & Love di Sergio Rilletti
Il grande romanzo di Mister Noir nel ventennale della sua invenzione!

Quando un liceale milanese scompare senza traccia dalla propria stanza, la madre si rivolge al brillante ed eccentrico detective privato Mister Noir. Muovendosi per la città sulla sua sedia a rotelle, questi scopre che il ragazzo e i suoi amici partecipano a un gioco di ruolo online chiamato Hate & Love e che a tutti loro capita qualcosa di insolito. Né Mister Noir né la sua assistente Elena Fox immaginano che l’indagine li porterà in Liguria, sulle tracce delle streghe di Ellera e di una minaccia sovrannaturale che incombe sul mondo.




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Mister Noir: Hate & Love:

Prologo

«Fatelo entrare!» declama Aurora, la Maga Bianca.

Il portone si spalanca e Primiteo entra nell’immenso salone. Le guardie, allineate in modo da formare una sorta di corridoio, rimangono impassibili. Si avvicina il più possibile a lei; poi si ferma, rimanendo ai piedi dei gradini che conducono al trono, e si genuflette a capo chino.

Aurora, nella sua veste bianca, splendente nella sua semplicità, si alza dalla scranna, scende gli scalini e gli va incontro. Ponendogli due dita sotto il mento, gli solleva dolcemente la testa.

«Oh, valoroso Primiteo, cosa ti porta da me?»

«Oh, mia regina…» inizia lui.

«Non chiamarmi regina, lo sai che non mi piace», lo interrompe lei.

«Come volete, Maga Bianca», risponde lui con deferenza. «Sono venuto a implorare il vostro aiuto.»

«Parla, ti ascolto.»

«Come sapete, di recente ho subito un terribile attacco e il mio castello è stato distrutto.»

«Lo so. E quindi?»

«Ora sto cercando di risollevarmi; non solo per me, ma anche per tutti quelli al mio servizio, per la fiducia che mi hanno sempre riservato e che io voglio ricambiare.»

«Bene. E allora?»

«Ormai non posso più permettermi un esercito: ho già un forte debito per la ricostruzione del castello e se sarò attaccato di nuovo, verrò sconfitto una volta per tutte.»

«E dunque cosa vuoi chiedermi, Primiteo?»

«Ho bisogno della vostra protezione… perché nessuno mi attacchi più.»

«Va bene», risponde lei dopo qualche secondo di riflessione. «Di solito non mi intrometto nelle faccende della Contea ma, nel tuo caso farò un’eccezione.»

«Grazie, Maga Bianca! Troverò il modo di sdebitarmi.»

«Oh, sì, certamente! Ma di questo parleremo un’altra volta.»

***

Milano, martedì 14 novembre 2017, ore 20.00

«Pietro, a tavola!» urlò Maria.

Era la terza volta che lo chiamava a gran voce, da una stanza all’altra, ma nella casa riecheggiava solo il silenzio. La donna si asciugò le mani e uscì dalla cucina, dirigendosi, a lunghi passi, verso la camera del figlio.

Bussò.

Niente.

Bussò e chiamò.

Niente.

Provò la maniglia, ma la porta risultò essere chiusa a chiave.

Chiamò ancora più volte, picchiando ripetutamente sulla porta col palmo della mano. «Apri!» ordinò.

Niente.

Sentite le sue grida, arrivò il marito, un uomo di ragguardevole stazza. Gli bastò una spallata: con uno schianto sonoro lo stipite cedette all’altezza del chiavistello.

All’interno, la finestra era aperta.

La coppia si precipitò a guardare fuori, coi cuori palpitanti. Tirarono un sospiro di sollievo all’unisono, constatando che il loro unico figlio non si era spiaccicato sull’asfalto sei piani più in basso.

Si girarono di nuovo verso l’interno. Maria notò la chiave della camera sul pavimento, dov’era caduta quando il marito aveva sfondato la porta. Ma la realtà che si presentava loro era una sola.

La stanza era vuota.

Pietro era scomparso nel nulla.

Giorno 1

(di 3)

I
Rapito da una strega

Milano, mercoledì 15 novembre 2017, ore 10.00

Le mani di Consuelo Gomez saettavano sul suo corpo, dalla cintura da allacciare alle maniche della giacca nera da infilare, fino al nodo della cravatta da sistemare. Un attimo dopo, Mister Noir era vestito di tutto punto: camicia e calze bianche, tutto il resto nero; come sempre. Completava il corredo un orologio, anche quello nero, allacciato al polso sinistro.

«Ayos lang. Anche oggi è pronto per accogliere la señorita Elena», disse la donna, mescolando tagalog, spagnolo e italiano, di cui sfumava le doppie consonanti.

«Consuelo, non esiste momento del giorno o della notte in cui non sia pronto per accogliere Elena Fox,»

«Oh, señor! È per via di queste battute che lei e gli altri investigatori privati rimanete single!» esclamò la domestica.

«Per via di queste battute? Ti sbagli, Consuelo: non esiste alcuna via che si chiami così, né a Milano né altrove.»

Lei alzò gli occhi al cielo, scosse la testa e se ne andò.

Il detective spostò la sua possente carrozzina elettrica, munita pure di fanali e lampeggianti, di là della scrivania. Aveva la porta sulla sinistra, la finestra sulla destra e la libreria di fronte. Udì il suono del campanello e i passi di Consuelo che andava ad aprire, poi una voce familiare che salutava allegramente la domestica.

Un attimo dopo una giovane donna dal fisico atletico, con lunghi capelli castani lisci, entrò nello studio a passo spedito. «Novità?» domandò, elargendo al datore di lavoro uno dei suoi splendidi sorrisi.

«Sì, certo: la data di oggi è diversa da quella di ieri», fu la risposta.

Lei replicò semplicemente posando la mano destra sul fianco e rincarando il sorriso. Mister Noir sapeva che Elena Fox era abituata tanto alle sue battute quanto alla sua locuzione non sempre perfetta, una delle conseguenze della tetraparesi spastica. In certe occasioni, quando qualche normodotato tardava a capirlo, era lei a fargli da traduttrice simultanea.

Il campanello suonò di nuovo e l’assistente andò a piazzarsi in piedi a destra della scrivania.

«Buongiorno, cerco Mister Noir», disse una voce femminile proveniente dal corridoio.

«Prego, la acompaño», rispose Consuelo.

Di lì a poco sulla soglia dello studio si presentò una signora alta e snella sui quarant’anni.

«Buongiorno. Ho bisogno del suo aiuto», disse, rivolta all’uomo dietro la scrivania.

«Non ne dubito, se è venuta qui.»

«Mio figlio è sparito», annunciò la donna, facendo tre passi avanti. Sfilò un rettangolo di carta dalla borsetta e lo depose sulla scrivania: era la foto di un adolescente dai capelli scuri come la madre. «Abbiamo già presentato la denuncia di scomparsa alla polizia.»

La donna si sedette.

Elena fece altrettanto.

«Da quando è scomparso suo figlio?» domandò il detective.

«Da ieri sera. È letteralmente svanito dalla sua camera.»

Mise sulla scrivania un’altra foto: suo figlio con una bella ragazza mora dalla carnagione olivastra, con i capelli lunghi e gli occhi scuri. Sembravano il ritratto della felicità.

«E lei è il problema», dichiarò, indicando la ragazza.

«Hmmm… Quanti anni ha suo figlio?»

«Ne compie diciassette tra due giorni.»

«Signora, tutti i ragazzi di quell’età, e pure di altre, ambirebbero ad avere un problema come questo. Cos’è che non va?»

L’aspirante cliente aprì la bocca per rispondere, ma l’investigatore non aveva ancora finito.

«Piuttosto: suo figlio compirà diciassette anni tra due giorni, l’ultimo venerdì diciassette del 2017. Questo non la preoccupa?»

La donna guardò interrogativamente Elena Fox con la speranza di aver capito male, ma lei si limitò a schiarirsi un po’ la gola, rivolgendole uno sguardo solidale.

«Cosa la turba, signora?» chiese, in tono gentile.

«Noi abitiamo al sesto piano. Quando mio figlio è scomparso, la sua stanza era chiusa a chiave dall’interno e la finestra era aperta. È stata quella strega a portarselo via!»

Non era esattamente un delitto nella camera chiusa, valutò il detective, ma come sequestro di persona sembrava piuttosto curioso. Per quanto fosse improbabile che una strega fosse arrivata in volo a cavalcioni di una scopa e avesse costretto il ragazzo a salire a bordo. La madre stava facendo correre troppo la fantasia.

«Signora, è sicura che non si sta già allenando per il ruolo di suocera?» la rintuzzò Mister Noir.

Lei lo fulminò con lo sguardo.

«Lo prenderò per un sì», rispose lui, serafico. «Nondimeno, ribadisco la domanda della mia assistente: posto che questa ragazza non le sta propriamente simpatica, perché la ritiene responsabile della scomparsa di suo figlio?» Si fermò un momento, poi riprese sempre con lo stesso tono. «Ah, dimenticavo! Sarebbe gradito, oltre che utile, se lei ci fornisse qualche nome. A cominciare dal suo, per esempio.»

La donna guardò i due investigatori, poi chiuse gli occhi per un istante, come se dovesse concentrarsi. «Mi chiamo Maria Di Maria, sono sposata con Giuseppe Cometa e nostro figlio è Pietro, un bravissimo ragazzo.»

Mister Noir aveva già inspirato a pieni polmoni, pronto a sfoderare una delle sue bordate di ironia; ma, intercettando lo sguardo interrogativo e un po’ preoccupato che gli scoccava la sua assistente, decise per una volta di trattenersi. «Prego, continui pure», disse invece, riassestandosi sulla carrozzina.

«Pietro è giudizioso, va bene a scuola e ha tanti amici.» Si interruppe un momento. «Lo scorso agosto, siamo andati in vacanza in Liguria, a Ellera, una frazione di Albisola Superiore. È qui che ha conosciuto la strega, Caterina. Ed è cambiato.»

«Nel senso che prima era biondo e con gli occhi azzurri?» domandò Mister Noir.

La signora Di Maria non raccolse la provocazione. «No. È distratto, scontroso… e ora è pure scomparso. Va bene?» rispose con una nota quasi isterica.

«Ovviamente no, signora, altrimenti non sarebbe qui», rispose lui, imperturbabile.

La donna lo fissò.

Mister Noir notò che Elena si grattava la fronte, distogliendo lo sguardo, e ridiventò serio. «Ci parli di questa Caterina. E ci dica il nome di qualche amico di suo figlio, e dove possiamo trovarlo.»

«Su Caterina ho poco da dire: so solo che questa estate, a Ellera, ha creato seri problemi tra lui e Bianca, un’amica di Pietro che era nostra ospite, facendola soffrire; e questo mi basta per giudicarla una strega. Ma vi do i nomi dei compagni di classe e degli amici più importanti di mio figlio. Va bene?»

«E io che ne so, signora? Sono un genio, mica un indovino.»

***

Celata dietro un albero della Grande Foresta Pluviale che circonda la Contea, Yvonne osserva la scena.

«Primiteo, Manlio, amici miei, sto per partire per un lungo viaggio», annuncia Barrows, tutto d’un fiato.

«Ma come? Proprio adesso che ho bisogno d’aiuto?», protesta Primiteo, afflitto.

«Mi dispiace, ma non posso più restare qui. Almeno per il momento.»

«Perché? Dove vai?» chiede Manlio.

«Non posso dirvelo. Ma quando tornerò sarò un uomo diverso. Garantito.»

Primiteo allarga le braccia, facendo un debole cenno con la testa, segno che non capisce. Ma poi gli altri due gli si avvicinano e si abbracciano tutt’e tre fraternamente.

Manlio si rivolge a Primiteo. «Comunque io sono qui. Non so ancora come, ma ti aiuterò, amico mio. Promesso.»

Il sorriso mesto di Primiteo si fa colmo di gratitudine.

Yvonne, da dietro l’albero, ha visto e sentito quanto basta.

Sorride. Ora sa cosa deve fare.

Questa è la fine dell’anteprima gratuita. 

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