Non chiamarlo amore

Non chiamarlo amore di Angela Rossi

Una raccolta di storie molto emozionanteGennaro Sangiuliano, Ministro della Cultura – Repubblica Italiana

«Sono andata a sbattere contro lo spigolo della porta, sono molto distratta negli ultimi tempi», racconta Valeria al medico del Pronto Soccorso.

«Volevo solo scegliere. Essere libera di decidere per me e della mia vita, non era nei miei piani prendere ordini, avere paura, subire ma non mi è stato concesso» ricorda Claudia.

Queste alcune delle voci tutte femminili che qui si raccontano. Quindici storie di donne legate dal filo rosso e crudele, della violenza dei compagni. Uomini che hanno deciso per loro, che hanno rubato i loro giorni, i progetti, le vite.

Quindici storie dolorose, casi veri di cui Angela Rossi si è occupata dal punto di vista giornalistico ma che qui parlano, no, urlano insieme, raccontando in prima persona la propria tragica esperienza.

Un libro che mai indugia in inutili morbosità; un libro che nasce con l’intento di amplificare le voci di chi osa raccontare la propria storia perché sia da monito per tutti e, soprattutto, perché non accada mai più.

Con la prefazione di Gennaro Sangiuliano – Ministro della Cultura

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Non chiamarlo amore:

Monica

Sono Monica e il mio profumo preferito è quello al té verde. Mi è sempre piaciuto. Eccolo, l’ho ritrovato finalmente!

No, no, non posso usarlo. Non posso, non posso. Sono anni ormai che non lo indosso. Da quando avevo trentadue anni e già non ero più un’adolescente o una ragazza ingenua. Avevo un matrimonio fallito alle spalle, avevo vissuto, avevo ed ho un lavoro importante, sono un avvocato stimato, conosciuto e ben pagato. Ero una donna adulta, che aveva vissuto e che credeva di conoscere gli uomini ma di fronte a quegli occhi scuri, di fronte a quei capelli folti mi sono persa lo stesso.

«Mi scusi per favore, ero distratto.»

Ci siamo conosciuti così, quella mattina, nell’atrio del Tribunale dove avevo un’udienza. Lui era testimone in un altro processo. Almeno, così mi aveva raccontato. Comunque, mi aveva urtato e mi era caduto il fascicolo della causa dalle mani. Ci eravamo abbassati insieme per raccoglierlo e ci eravamo guardati per la prima volta.

Dopo dieci minuti, eravamo al bar insieme a parlare fitto e a raccontarci le nostre vite precedenti. Uno di quegli incontri – ricordo di aver pensato – che ha qualcosa di magico, che forse accade una volta soltanto in centinaia di vite. Anche lui aveva un rapporto chiuso da poco alle spalle con una donna che non lo capiva, che lo accusava di essere poco presente, distratto, mi ha raccontato. Ecco, una frase e mi era scattato qualcosa dentro. Classico, banale perfino.

«Poverino» ricordo di aver pensato «com’è possibile che una donna abbia il coraggio di trattarlo male? È così gentile, educato. Deve essere veramente una stupida a non apprezzare un uomo così»

Capita spesso, troppo spesso di pensare che, se qualcosa non funziona, la colpa sia nostra. Di noi donne, intendo. Avevo commesso l’errore capitale, avevo dato il via a una valanga di conseguenze che avrei capito solo molto tempo dopo e dopo un lavoro di analisi su me stessa che, spesso, mi aveva scorticato anima e cervello. Lo avrei capito dopo molto tempo. Comunque, dopo quella mattina abbiamo cominciato a vederci. Per un aperitivo, poi una passeggiata, il primo invito a cena, tutto il normale iter che si percorre quando si comincia a frequentarsi. Un copione rivisitato e messo in scena chissà quante volte. Ma io non lo sapevo e neanche potevo pensarlo.

Dopo tre settimane, la nostra storia era ufficiale. Sì, vedevo tutto colorato, vivevo con gratitudine una nuova e inaspettata occasione sentimentale, non mi sentivo completa a stare da sola, volevo qualcuno accanto e ora mi sentivo pronta, dopo il divorzio e dopo mesi e mesi di uscite tra donne.

Non mi rendevo, però, ancora conto che non stavo scegliendo ma solo riempiendo le mie giornate. Comunque, eravamo al punto in cui si sente il bisogno di condividere tutto il tempo a disposizione e, quindi, a casa dei miei amici andavamo insieme, insieme uscivamo per lo shopping, insieme a fare sport e insieme nei fine settimana. A un certo punto, divenne quasi naturale andare a vivere insieme.

Avevo qualche dubbio ma non riuscivo a confessarmelo razionalmente, scacciavo la classica vocina dell’istinto, nella parte più profonda e nascosta di me, come un insetto che ti ronza intorno e ti molesta. Una specie di sussurro che mi ripeteva di avere già sperimentato la convivenza con un uomo, che non era andata bene ma lo facevo tacere velocemente mettendo in atto tutto il repertorio di artifici mentali e psicologici che avevo a disposizione.

Erano le prime bugie che mi raccontavo facendo finta di non raccontarmele. Stavolta sarebbe stato diverso, continuavo a dirmi. Basta con il vassoio davanti alla televisione. Da quando c’era lui avevo riscoperto il piacere di cucinare e quello di avere impegni per il fine settimana che non fossero le scartoffie, i fascicoli da studiare e il Codice Penale.

Avevo riscoperto il piacere di frequentare i negozi e il parrucchiere. Ero scivolata, senza neppure rendermene conto, nello stereotipo della donna in coppia che ha il dovere di curarsi per il proprio partner. L’inizio della convivenza fu, naturalmente, perfetto. Riuscivamo a dividerci i compiti quotidiani e a amalgamare i nostri ritmi lavorativi. Sette mesi sereni e tranquilli. Senza screzi o discussioni accese o incomprensioni.

Eppure, qualcosa nel suo comportamento avrebbe dovuto farmi riflettere e smettere di raccontarmi favole. Tanto per cominciare, non perdeva occasione per illustrarmi alcuni comportamenti che avrei dovuto tenere sul lavoro.

«Monica, amore della mia vita, fossi in te, non darei troppa confidenza a quel tuo collega, quello alto e magro, come si chiama?»

«Chi? Giorgio?»

«Sì, proprio lui.»

«Perché?»

«Mi sembra un tantino invidioso, meglio se metti un minimo di distanza tra te e lui. Tanto non siete amici, no? Siete solo colleghi.»

«Sì, forse hai ragione, però, sai che non ci avevo mai fatto caso in tanti anni che lo conosco?»

Spesso mi suggeriva spesso anche cosa indossare. E mi aiutava. Tanto. In cucina, a esempio. Spesso aggiustava di sale il sugo perché io ho la tendenza a usarne poco o aggiungeva una fogliolina di basilico che dava quel tocco in più come lui stesso sottolineava. E si faceva carico anche di scegliere la marca di detersivo per la lavastoviglie perché aveva letto il contenuto ed era convinto che sarebbe stato più efficace. O di scegliere la qualità della verdura.

«Tesoro, si deve seguire la stagionalità. Sai che anche per comprare il pesce si deve conoscere quando è periodo di sgombri o quando è meglio comprare il salmone?»

Questa è la fine dell’anteprima gratuita. 

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