Nascere.
Si nasce tante volte nella vita. Si muore altrettante più una. La prima volta sono nato 28 anni prima della conclusione del secolo scorso. Dopo un breve soggiorno in ospedale fui riportato nel luogo, che da allora mi divenne natale, dove i miei genitori risiedevano. Un totale di sei abitazioni, comprese quelle che da sole tracciavano l’ideale linea di demarcazione politica con uno stato che abbiamo fortunatamente abbindolato nel corso di due guerre mondiali.
Dopo alcuni anni mi trasferii in un paese di cinquecento anime che a confronto mi sembrava una metropoli di teppisti. Fui condotto lungo un normale percorso scolastico, frequentai un istituto tecnico locale per poi tuffarmi in una città di mare dove concludere studi universitari che si pretendono scientifici. Portavo ancora quei bei capelli lunghi di cui andavo tanto ma tanto orgoglioso, credevo ancora che l’università fosse una istituzione seria e che tutti eravamo nati con una importante missione sulle spalle da compiere. Dopodiché mi sono incarnato, in parte consapevolmente in parte no, nel bizzarro spirito del nostro tempo, andando a impersonare il tipico essere umano medio del terzo millennio.
Quel millennio dove tutti si credono artisti e spacciano la propria arte, una droga endogena con cui tollerare la dipartita dalle certezze e l’esigenza di esserci. Sempre e ovunque, per non sentirsi morti.